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Nonno sarai tu

Fabiana Giacomotti

“Abbiamo fatto la guerra!”. Una generazione incontenibile, che non ferma nemmeno un’epidemia. E guai a definirli a rischio

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La scomparsa della vecchiaia come dato sociale in questi surreali tempi-di-coronavirus potrebbe essere racchiusa nel dialogo a distanza fra Boris Johnson e suo padre Stanley: “Preparatevi a perdere i vostri cari”, dice il premier britannico mandando in tilt i cardini umanisti su cui si regge l’Europa. “Continuerò ovviamente ad andare al pub, se sentirò il bisogno di andarci”, risponde dagli schermi di Itv il suo “caro” numero uno, e chissenefrega delle eventuali conseguenze per lui. E per gli altri? Gli altri chi. “Non smetto di vivere”, ribadiva l’altro giorno al Giornale Gianfranco D’Angelo che, con la vita un po’ da cicala che ha ammesso di aver fatto, continua a lavorare a 86 anni, e dunque nutre molte ansie per via di tutti gli spettacoli che avrebbe dovuto tenere lungo questa primavera nei teatri di mezza Italia e che “gli sono saltati per colpa dell’emergenza”. Maurizio Costanzo, ottantuno anni di cui cinquanta trascorsi a lavorare per e in televisione, dice invece che stare a guardarla tutto il giorno non gli va; per naturale riguardo all’attività sua e di famiglia, evita di osservare che rincretinirsi di show del pomeriggio è roba da vecchi, ma il senso è quello; un gagliardo “me ne frego”, dichiarato proprio in questi termini. Mai visti tanti anziani in giro come in questi giorni, tutti rigorosamente senza mascherine e senza guanti e pure belli combattivi. Tutti al supermercato; tutti a giocare a carte la domenica, anche in casa e con i pasticcini come al solito; tutti in bocciofila, mentre i giornali titolano mestamente sul focolaio scoppiato a Medicina, sedicimila abitanti nell’hinterland bolognese, fra i frequentatori in età avanzata del centro ricreativo: diciannove contagiati diretti, oltre cento in isolamento domiciliare fiduciario. Volo, raffa e navetta. 

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La scomparsa della vecchiaia come dato sociale in questi surreali tempi-di-coronavirus potrebbe essere racchiusa nel dialogo a distanza fra Boris Johnson e suo padre Stanley: “Preparatevi a perdere i vostri cari”, dice il premier britannico mandando in tilt i cardini umanisti su cui si regge l’Europa. “Continuerò ovviamente ad andare al pub, se sentirò il bisogno di andarci”, risponde dagli schermi di Itv il suo “caro” numero uno, e chissenefrega delle eventuali conseguenze per lui. E per gli altri? Gli altri chi. “Non smetto di vivere”, ribadiva l’altro giorno al Giornale Gianfranco D’Angelo che, con la vita un po’ da cicala che ha ammesso di aver fatto, continua a lavorare a 86 anni, e dunque nutre molte ansie per via di tutti gli spettacoli che avrebbe dovuto tenere lungo questa primavera nei teatri di mezza Italia e che “gli sono saltati per colpa dell’emergenza”. Maurizio Costanzo, ottantuno anni di cui cinquanta trascorsi a lavorare per e in televisione, dice invece che stare a guardarla tutto il giorno non gli va; per naturale riguardo all’attività sua e di famiglia, evita di osservare che rincretinirsi di show del pomeriggio è roba da vecchi, ma il senso è quello; un gagliardo “me ne frego”, dichiarato proprio in questi termini. Mai visti tanti anziani in giro come in questi giorni, tutti rigorosamente senza mascherine e senza guanti e pure belli combattivi. Tutti al supermercato; tutti a giocare a carte la domenica, anche in casa e con i pasticcini come al solito; tutti in bocciofila, mentre i giornali titolano mestamente sul focolaio scoppiato a Medicina, sedicimila abitanti nell’hinterland bolognese, fra i frequentatori in età avanzata del centro ricreativo: diciannove contagiati diretti, oltre cento in isolamento domiciliare fiduciario. Volo, raffa e navetta. 

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Mai visti tanti anziani in giro come in questi giorni, tutti rigorosamente senza mascherine e senza guanti e pure belli combattivi


 

La faccenda si è fatta talmente seria che la polizia ha chiesto un intervento video a Gigi Proietti, beniamino del cosiddetto cluster protetto, che ha prontamente risposto registrando uno spottino ad hoc dal salotto: “Vi saluto da casa mia. Parlo a voi non più giovanissimi: dovremmo essere i più saggi e quindi siamo d’esempio alla collettività, restiamo a casa perché più gente obbedisce a questa disposizione e prima finisce tutto, e potremo andare ’ndo ce pare”. “Nonni, vi vogliamo bene”, hanno aggiunto in chiusura brigadieri, premurosi e sorridenti, e già pare di vederli, i nonni, col dito medio alzato. Nonno sarai tu.

 

Mentre i giovani si prendono come ovvio malvolentieri ma zitti e muti gli schiaffoni verbali dei media e i verbali veri e propri della polizia, quando vengono beccati a giocare a calcetto al parco, gli anziani conducono con ostinazione la propria personale rivolta libertaria contro il virus, incuranti per la maggior parte delle prescrizioni e anche della disponibilità di un esercito di assistenti sociali e volontari che, almeno a Milano, il sindaco Beppe Sala ha schierato per consegnare loro generi alimentari a domicilio. Il popolo delle proverbiali panchine, che naturalmente non occupano mai perché da decenni viene detto loro che la miglior cura contro l’arteriosclerosi è il moto e che dunque passano davanti alle coppiette semi-sdraiate sui sedili prendendosi tutto il tempo necessario per commiserarle nel loro brancicare en plein air, non pare avere alcuna intenzione di rinunciare al diritto alla passeggiatina e alla spesa quotidiana con puntatina dal medico di famiglia e in diretta sequenza in farmacia; questo, nonostante il Servizio Sanitario abbia approntato un sistema di codificazione numerica della ricetta che il paziente può ottenere telefonando. Chissenefrega del numero di codice; quel che contava, e che conta ancora, era la ritualità, il prendersi cura di se stessi in prima persona e faticando pure un po’ per poterlo poi raccontare alle amiche, mica farsi dare la ricetta. Gli “over 70” o “i più fragili” – come si dice adesso con pudore e correttezza politica per evitare di pronunciare il sostantivo fatale e irrimediabile, “anziani”, che non porta giovamento neanche ai fatturati delle agenzie di viaggio e dei centri benessere già messi a dura prova – sarebbero come si sa i primi a rischio, le prede più facili e appetite di questo virus che nel giro di un mese si è visto attribuire un emoticon dedicato, corona e vermiciattolo verde abbinati. Ma provate a ricordarlo fuori da quella valvola dello sfogo becero che sono i social; trovatemi uno che abbia il coraggio di dire in faccia alla mamma o al nonno che “data l’età e il rischio” sarebbe meglio se invece di infilarsi le scarpe per uscire di casa baldanzoso percorresse cinquanta volte avanti e indietro il terrazzo, che è esposto al sole esattamente e anzi meglio del parco che si trova a cinquecento metri dal portone. “Ohi, son mica un carcerato”. La giovinezza ha tutte le speranze, la vecchiaia tutti i diritti: in queste settimane chi sta in mezzo non sa più a che santo votarsi e conosciamo già le parole che avranno pronunciato, i figli e i nipoti del gruppetto di giocatori di bocce di Medicina, agli operatori sanitari arrivati a casa bardati come i ghostbuster per metterli in quarantena: cerchi di capire, erano belle giornate, come si faceva a tenerli fra queste quattro mura, non si aveva cuore. Soprattutto, non si aveva modo. 


I reduci del 1945 affrontano il nemico invisibile a petto nudo, convinti dell’equiparabilità fra le bombe degli alleati e quelle virali


 

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Il nonno svaporato dell’Amarcord felliniano che si perde nella nebbia e nei ricordi dell’avo “che lo chiamavano Carnazza” e giù a mimare il gesto della copula a beneficio della famiglia seduta a tavola non esiste più, sempre sia mai esistito al di fuori di una certa letteratura e un certo cinema del Novecento – genere il nonno di Heidi che comunque si inteneriva solo alla fine della storia. Prendete Platone, Montaigne e La Rochefoucauld, lui soprattutto, e troverete, detto in mille modi diversi, quanto sia “difficile essere vecchi”. In questi tempi-di-coronavirus, è anzi del tutto impossibile: sono tutti giovani e indispettiti come Ornella Vanoni che sfida i ragazzini dei talent a suon di “vediamo che sai fare tu”; focosi come i due ottantenni che, qualche tempo prima dell’emergenza, si sono scazzottati alla balera dell’Ortica perché il primo aveva invitato a ballare la bella del secondo ed è dovuta intervenire la polizia e pure la guardia medica. Provate a tenerli voi, in casa, questi anziani che da anni fanno aumentare la percentuale dei divorzi perché le mogli non reggono il marito pensionato che ciabatta fra il salotto e la cucina mettendo il naso nelle pentole; confinateli in giardino questi incendiari delle assemblee condominiali, questi scavalcatori di file “e si tolga dai piedi, cretina, che vado di fretta”.


La giovinezza ha tutte le speranze, la vecchiaia tutti i diritti: in queste settimane chi sta in mezzo non sa più a che santo votarsi


 

Dove sono finiti gli anziani che Simone de Beauvoir descriveva nel suo saggio omonimo, “la vieillesse”, tutti mestizia, rassegnazione, espulsi dalla società della famiglia coniugale “che ha sostituito quella patriarcale”? Tolti i casi, certo numerosi ma non determinanti, a cui accennavano i sindacati dei pensionati in un comunicato di un paio di giorni fa, paventando lo sterminio degli occupanti delle case di riposo se, come è stato ipotizzato dalla Regione Lombardia, i convalescenti di Covid-19 dovessero essere mandati a occupare le stanze libere dei ricoveri, gli anziani che incontriamo nelle nostre rare e solitarie fughe da casa – oggi esco io domani tu e non riempire troppo il carrello della spesa che non è etico e anche un po’ ridicolo – sembrano tutti fortemente refrattari a essere considerati l’anello debole della catena del contagio. Per prima cosa, si rifiutano di essere considerati tali, se non per scherzo, per celia, per civetteria: “La migliore prevenzione contro l’epidemia è mantenersi perfettamente in salute”, sorridono, citando Ennio Flaiano e afferrando il soprabito, ché in effetti fa già caldo e loro, questa bella primavera “che forse sarà l’ultima” e giù a rifilarti sensi di colpa, non “vogliono perdersela”. Poi prendono le scale, finendo risucchiati nella successione straniante di piazze metafisiche che sono diventate le nostre città, nei silenzi di questi giorni usciti da un quadro di Edward Hopper. Scompaiono o, semplicemente, si mimetizzano, riapparendo solo in qualità di esseri mitici, di portatori di infinita genialità come nel video che Max Brooks ha girato con il padre Mel per ricordare ai suoi coetanei di stare attenti a come si muovono e a che cosa fanno, perché lui, in caso infettasse suo padre, rischierebbe di sterminare un’intera generazione di “leggende della commedia”, da Carl Reiner a Dick van Dycke. Il virus colpirà pure gli over-qualcosa perché risponde a leggi di natura o a leggi sue proprie che nessuno ha ancora scoperto, ma è evidente che quelle che ci siamo dati noi negli ultimi trent’anni non hanno niente a che vedere con il suo modo presunto di agire. La giovinezza eterna è infatti uno degli storytelling sul quale si è retta la società del consumo forsennato che, siatene certi, non ritroveremo più nel momento in cui suonerà il cessato pericolo e si riapriranno le boutique e i centri benessere.

 

L’altro storytelling esiziale ai fini del contenimento degli over eccetera è stata colpa nostra, di noi artigiani della parola intendo, e data una quindicina di giorni fa, cioè da quando, per scaricare o almeno alleggerire il potenziale sociale altamente esplosivo degli arresti domiciliari urbi et orbi, ci siamo inventati e inoltrati da uno smartphone all’altro il divertente aforisma sui “nostri nonni che hanno fatto la guerra mentre a noi viene chiesto solo di stare sul divano”. Per gli ultraottantenni, quella battuta è apparsa come una constatazione, una scarica galvanizzante, un po’ come la Canzone del Piave che don Camillo diffonde dagli altoparlanti del campanile di Brescello per stroncare la campagna elettorale di Peppone e che invece ringalluzzisce di colpo la classe del ’99 che stava in piazza ad ascoltare il comizio coi maggiorenti del Pci. L’evocazione della guerra che i nipoti manco studiano perché “col programma non ci siamo arrivati e abbiamo chiuso l’anno al 15-18” è stata stata una sferzata che li ha schierati contro il barbaro invasore dei sacri confini, il viru; dunque, guai ad aprire bocca per chiedere il rispetto delle distanze, fosse pure dal fruttivendolo. “Io ho fatto la guerra”, intimano, l’avessero pure sfiorata da lattanti o, come mia madre, trascorrendola in collegio dalle Orsoline al mare: adesso, a ottantotto anni, si ostina a uscire in auto “perché guarda caso mi avevano rinnovato la patente giusto un mese fa” e via, spedizioni al mercato “e non portarmi a casa tutta questa roba che mi passa la fame, sono capacissima da sola, per chi mi prendi”. 


Quello della giovinezza eterna è uno degli storytelling sui quali si è retta finora la società moderna del consumo forsennato 


I reduci del 1945, veri o presunti, affrontano il nemico invisibile a petto nudo, convinti dell’assoluta equiparabilità fra le bombe degli alleati e quelle virali, entusiasti del nuovo posto nella società che questo improvviso rallentamento dell’universo ha liberato inaspettatamente per loro. Nel mondo che, a dispetto dei meme sulle agende impegnatissime della quarantena e degli aperitivi sulle piattaforme web, si muove a passo lento, loro hanno finalmente acquisito l’andatura giusta. Nul ne presse: tutti, anche chi trascorre le giornate al telefono e in “remoto”, cercando di dare forma a progetti, contratti, giornali, perfino eventi virtuali, sta lentamente accomodandosi nel ritmo-over. Combattivo magari, ma regolato e regolare: sveglia verso le otto del mattino anche in caso della presenza in famiglia di bambini in età scolare, che infatti si mettono davanti allo schermo per seguire le lezioni su Google Meet col pigiama che ancora spunta dalla felpa e gli occhietti cisposi; doccia o bagno dopo le nove, uscitina per la spesa verso le undici, pochi minuti per sgranchire le gambe e poi ancora a casa, con giornale sottobraccio e l’appuntamento con la televisione “e che cosa danno stasera”. I tg delle sette e delle otto di sera, quelli che fino a qualche settimana fa snobbavamo perché noi quasi-giovani e super-impegnati rientravamo più tardi, molto più tardi e comunque solo dopo l’atroce apericena unto e ipercalorico che, anche questo e insieme agli influencer e ai post “virali”, rischia di finire vittima della rivoluzione di modi e tempi, hanno raggiunto punte di otto milioni di ascolto. Si ascolta tutti il capo della protezione civile in silenzio; poi, si serve in tavola qualcosa di leggero.

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