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Così l’epidemia sta decimando in silenzio le case di cura del nord Italia

Giulio Meotti

Un terzo di tutti gli anziani ricoverati è nelle zone in crisi

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Roma. All’inizio erano le pagine degli annunci funerari dell’Eco di Bergamo che hanno fatto il giro del mondo, passate da una a dieci in quest’ultimo mese. Adesso sono le cronache locali che arrivano dalle case di riposo. Quasi un anziano su tre in Italia è ricoverato proprio nelle zone epicentro del virus, fra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. La pandemia sta decimando chi vive nelle case di cura, come accade a Madrid all’istituto “Monte Hermoso” e come è successo in Corea del sud all’istituto di Daenam.

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Roma. All’inizio erano le pagine degli annunci funerari dell’Eco di Bergamo che hanno fatto il giro del mondo, passate da una a dieci in quest’ultimo mese. Adesso sono le cronache locali che arrivano dalle case di riposo. Quasi un anziano su tre in Italia è ricoverato proprio nelle zone epicentro del virus, fra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. La pandemia sta decimando chi vive nelle case di cura, come accade a Madrid all’istituto “Monte Hermoso” e come è successo in Corea del sud all’istituto di Daenam.

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Ieri, nel forlivese, il Covid-19 si è diffuso all’interno di una casa di riposo, la Pellegrino Artusi di Forlimpopoli. Dei 35 ospiti della struttura, 25 sono positivi e due sono già morti. In una casa di riposo di Quinzano, nel bresciano, dall’inizio dell’emergenza sono morti già venti anziani. Cinque in poche ore. A solo uno di loro era stato fatto il tampone ed era risultato positivo. Gli altri se ne vanno, senza sapere se avevano contratto la malattia, a causa di problemi respiratori. “La tristezza per non essere riusciti a proteggerli è un sentimento che accomuna tutti noi all’interno della struttura”, ha detto il responsabile della casa di riposo, Luca Laffranchi.

 

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Dopo il caso di Barbariga, con sette anziani morti in pochi giorni, a Calcinato in una settimana sono scomparse nove persone ospiti della stessa casa di riposo. Cinque morti tra venerdì 13 e sabato 14 marzo nella casa di riposo Don Ciriaco Vezzoli di Cividate al Piano nella bergamasca. Il sindaco, Gianni Forlani, parla di “sintomi forti” e di “complicazione della broncopolmonite”. Il virus sta “lavorando” nella casa di riposo di Mombretto, a Mediglia: sono già 44 i morti, un terzo del totale dei posti letto della struttura. E’ un viavai di carri funebri. Già quindici i decessi dalla fine di febbraio in un ospizio a Gandino, vicino Bergamo, dove il numero delle vittime col coronavirus è molto più alto di quanto appaia ufficialmente. Sono “tantissimi”, secondo il sindaco Giorgio Gori, i morti cui non è stato fatto il tampone. Stessa situazione a Scanzorosciate, dove il sindaco Davide Casati dice: “Nel periodo dal 2 al 15 marzo del 2019 abbiamo avuto sei decessi di anziani, tutti in casa di riposo. Quest’anno nelle stesse due settimane ne contiamo 36”. Gori ha riferito che ci sono stati 164 morti a Bergamo nelle prime due settimane di marzo, di cui 31 attribuiti al virus. Un dato che va confrontato con i 56 decessi nello stesso periodo dell’anno scorso. Anche aggiungendo i 31 morti per coronavirus al totale ci sarebbero 77 decessi in più, aumento che suggerisce che il virus potrebbe avere causato un numero significativamente maggiore di decessi rispetto a quelli registrati ufficialmente. Emilio Tanzi, direttore di Cremona Solidale, una casa di cura da 460 posti letto, dice che c’è stato un aumento significativo e “anomalo” di morti dal 2 marzo, quando l’epidemia ha iniziato a crescere in Italia. In un solo giorno, la scorsa settimana, ci sono stati 18 decessi nella sua struttura, tutti pazienti con difficoltà respiratorie. Walter Montini, presidente dell’Arsac, che raggruppa 30 case per anziani nella provincia di Cremona, dice che in una piccola casa di cura con 36 posti letto ci sono stati 7 decessi in un giorno. Si registrano casi anche negli ospizi del padovano. In una casa di riposo di Merlara, 60 dei 69 anziani sono positivi al coronavirus e sono già quattro i morti.

 

I corpi di questi anziani vengono avvolti in speciali sacchetti di plastica e sepolti con la sola benedizione di un sacerdote. Se ne va così, in silenzio, fuori anche dalle statistiche che arrivano ogni sera, senza persino il saluto e il contatto dei propri cari, la generazione che ha ricostruito l’Italia nel Dopoguerra.

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