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Non lasciarsi ingannare

L’Italia può difendersi da una propaganda di nome Sputnik

Luciano Capone e Giovanni Rodriquez

Mosca annuncia il primo sito produttivo del vaccino russo nell'Unione europea: l'Adienne di Caponago, una piccola azienda che non ha mai prodotto vaccini e non ha ancora le autorizzazioni dell'Aifa. Cosa non torna. E perché l’Europa non si fida

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L’annuncio è clamoroso e spunta fuori dal nulla: “Firmato l’accordo tra il fondo governativo russo e la società Adienne Pharma&Biotech per la produzione in Italia del vaccino Sputnik V”. Dopo alcuni mesi di trattativa, e grazie al supporto della Camera di Commercio Italo-Russa, in Lombardia dovrebbe sorgere dunque un sito produttivo del vaccino russo. Come spiegato dal presidente di Adienne, Antonio Di Naro, a partire da giugno-luglio partirà la produzione di 10 milioni di dosi nello stabilimento di Caponago, vicino Monza. L’Italia si appresterebbe quindi a diventare la prima sede di produzione del vaccino anti Covid russo in Europa. Questi i fatti. A questi si accompagnano però diversi dubbi.

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L’annuncio è clamoroso e spunta fuori dal nulla: “Firmato l’accordo tra il fondo governativo russo e la società Adienne Pharma&Biotech per la produzione in Italia del vaccino Sputnik V”. Dopo alcuni mesi di trattativa, e grazie al supporto della Camera di Commercio Italo-Russa, in Lombardia dovrebbe sorgere dunque un sito produttivo del vaccino russo. Come spiegato dal presidente di Adienne, Antonio Di Naro, a partire da giugno-luglio partirà la produzione di 10 milioni di dosi nello stabilimento di Caponago, vicino Monza. L’Italia si appresterebbe quindi a diventare la prima sede di produzione del vaccino anti Covid russo in Europa. Questi i fatti. A questi si accompagnano però diversi dubbi.

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In primo luogo riguardo l’azienda scelta e i tempi annunciati. Stando a quanto spiegatoci in questi giorni dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e da Farmindustria, a seguito di diversi incontri per individuare siti e modalità di produzione di vaccini anti Covid, per convertire gli stabilimenti italiani potenzialmente adatti ci vogliono dai sei agli otto mesi, almeno. Com’è dunque possibile che Adienne, una piccola società che occupa una porzione dell’ex stabilimento AstraZeneca e che prima di oggi non si è mai occupata della produzione di vaccini, riesca nell’intento in appena quattro mesi?

 E per giunta senza neppure il supporto pubblico? A questo dobbiamo poi aggiungere altri elementi. Le Good manufacturing practices (Gmp) di Adienne riguardano la sola produzione di prodotti sterili biotecnologici e prodotti sterili citotossici liofilizzati in sistema pronto per l’uso. Queste Gmp e le relative certificazioni non sono sufficienti per la produzione di vaccini. Mancherebbero, quindi, anche le autorizzazioni necessarie alla produzione, che dovrebbero essere rilasciate da Aifa e che richiedono ispezioni e un processo che, nella migliore delle ipotesi, dura non meno di 75 giorni. E ancora, il vaccino Sputnik non è tra i più facili da produrre. Prima e seconda dose sono differenti, impiegano due adenovirus diversi, cosa che implica l’avvio di due linee produttive diverse. In pratica è come fare non uno ma due vaccini. Se il sito fosse davvero già pronto, sarebbe più semplice e utile produrre il vaccino Johnson & Johnson che è prossimo all’approvazione dell’Ema e si basa su un solo adenovirus, uguale a uno dei due di Sputnik.

 

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Restano dunque molti punti interrogativi su come una piccola azienda possa superare così tanti ostacoli in così poco tempo. Soprattutto alla luce del fatto che la via di una possibile produzione italiana di vaccini adenovirali sia risultata impraticabile nel breve termine per diverse grandi aziende attive nel settore dei vaccini. Tutto questo sta poi avvenendo all’interno di una cornice politica quantomai frammentata. Da mesi la richiesta di un’approvazione di Sputnik in Italia è stata avanzata da rappresentanti di opposta appartenenza politica: non solo dal leader della Lega Matteo Salvini, ma anche dall’assessore alla Sanità della regione Lazio Alessio D’Amato. Di contro, la posizione dell’Unione europea resta piuttosto intransigente. “Attualmente non sono in corso colloqui per integrare lo Sputnik V nella strategia Ue sui vaccini”, ha spiegato un portavoce della Commissione Ue. Gli Stati membri, ha ricordato il portavoce, possono sempre “concedere l’approvazione del vaccino Sputnik”. Sull’autorizzazione per uso di emergenza dei singoli stati dello Sputnik, ovvero in assenza di dati e controlli sui siti produttivi, la presidente del consiglio di amministrazione dell’Ema ha parlato di una “roulette russa”. Contro l’Ema si è scagliata la Russia che, attraverso l’account Twitter del vaccino, ha chiesto le scuse dell’autorità europea insinuando “interferenze politiche” sul processo autorizzativo. “Non dovremmo lasciarci ingannare dalla Cina e dalla Russia, regimi con valori meno desiderabili dei nostri, che organizzano operazioni molto limitate ma ampiamente pubblicizzate per fornire vaccini ad altri”, ha avvisato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Eppure questi stessi paesi che si dicono disponibili a fornire vaccini all’Europa, hanno vaccinato la metà della propria popolazione rispetto all’Ue. E probabilmente anche l’annuncio della produzione dello Sputnik in Italia è un tassello della strategia propagandistica che Mosca usa contro Bruxelles.

 

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