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Scienza e lockdown

Perché gli scienziati in tv non dovrebbero lasciarsi trascinare dalle inclinazioni autoritarie

Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi

Il loro ruolo è essenziale per rompere l’assedio del virus. Ma si dovrebbe spiegare a figure pure eminenti nel loro campo che regole e istituzioni di una società libera, faticosamente raggiunte nei secoli, sono diverse da quelle che governano un laboratorio scientifico o un dipartimento di medicina

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Da circa un anno ascoltiamo ogni giorno qualche scienziato o medico raccontare in tv cosa dovrebbe fare il governo per liberare il paese da Covid. Non tanto, cioè, spiegare le dinamiche del contagio, descrivere i progressi fatti dalla ricerca, mettere in guarda dalle insidie della malattia. Ma invocare misure coercitive, che modifichino i comportamenti sanzionandoli. Esiste una letteratura immensa, che ha studiato la comunicazione degli scienziati e come viene percepita, per cui sarebbe consigliabile che non si esprimessero in modi dogmatici ma mettessero in luce anche le incertezze, eppure non c’è verso. Come tanti dottor Stranamore non resistono a esprimere un’apparente inclinazione autoritaria. “Si deve fare un lockdown duro e veloce altrimenti vanifichiamo la vaccinazione”, “Bisogna tenere chiuso tutto, altrimenti arriva la terza ondata”, e così via. Il ruolo di medici e scienziati è essenziale per rompere l’assedio del virus. Ma si dovrebbe spiegare a figure pure eminenti nel loro campo che regole e istituzioni di una società libera, faticosamente raggiunte nei secoli, sono diverse da quelle che governano un laboratorio scientifico o un dipartimento di medicina (o, se è per questo, un’impresa). La scienza è, essenzialmente, un metodo. L’ecosistem scientifico che arriva a stabilire meglio di altri quali fatti e teorie sono verosimili incarna i valori liberali, ma i singoli sistemi di produzione di pubblicazioni e brevetti basati su quei fatti/teorie, cioè i laboratori, no.

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Da circa un anno ascoltiamo ogni giorno qualche scienziato o medico raccontare in tv cosa dovrebbe fare il governo per liberare il paese da Covid. Non tanto, cioè, spiegare le dinamiche del contagio, descrivere i progressi fatti dalla ricerca, mettere in guarda dalle insidie della malattia. Ma invocare misure coercitive, che modifichino i comportamenti sanzionandoli. Esiste una letteratura immensa, che ha studiato la comunicazione degli scienziati e come viene percepita, per cui sarebbe consigliabile che non si esprimessero in modi dogmatici ma mettessero in luce anche le incertezze, eppure non c’è verso. Come tanti dottor Stranamore non resistono a esprimere un’apparente inclinazione autoritaria. “Si deve fare un lockdown duro e veloce altrimenti vanifichiamo la vaccinazione”, “Bisogna tenere chiuso tutto, altrimenti arriva la terza ondata”, e così via. Il ruolo di medici e scienziati è essenziale per rompere l’assedio del virus. Ma si dovrebbe spiegare a figure pure eminenti nel loro campo che regole e istituzioni di una società libera, faticosamente raggiunte nei secoli, sono diverse da quelle che governano un laboratorio scientifico o un dipartimento di medicina (o, se è per questo, un’impresa). La scienza è, essenzialmente, un metodo. L’ecosistem scientifico che arriva a stabilire meglio di altri quali fatti e teorie sono verosimili incarna i valori liberali, ma i singoli sistemi di produzione di pubblicazioni e brevetti basati su quei fatti/teorie, cioè i laboratori, no.

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Uno scienziato o un capo di dipartimento, come del resto un manager in un’azienda, investe risorse cognitive e denaro per raggiungere qualche obiettivo definito. I suoi ricercatori sono grosso modo dei dipendenti, ai quali è stato dato un compito specifico. Se la gestione è efficace ed efficiente o meno lo deciderà il successo di quello scienziato nella competizione internazionale per i finanziamenti, nella sottomissione di brevetti o nell’avanzamento di carriera. Le società umane sono un poco più complesse. Non sono orientate verso un singolo fine, ma sono popolate da individui ciascuno dei quali ha i propri. Riuscire a coordinarli, rammendando preferenze talvolta confliggenti, è possibile, in modo sempre precario e provvisorio, e per questo sono stati inventati dei controlli e dei contrappesi, che riducono il potere discrezionale di chi governa consentendo a ciascuno di provare a organizzare la propria vita, per quanto possibile, secondo le sue preferenze. Se queste istituzioni appaiono fragilissime, è perché il nostro cervello non è ancora abituato a società libere a divisione del lavoro avanzata (una novità storica assai recente) e tende a seguire radicate inclinazioni umane autoritarie e gregarie. Per questo le leadership sul modello cesarista in politica si impongono con straordinaria frequenza: solleticano istinti profondi, ci suggeriscono qualcosa che ci viene naturale pensare, cioè che i problemi complessi abbiano soluzioni semplici e che per realizzarle non serva che affidarsi a Tizio o Caio.

 

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Gli scienziati che vediamo in tv sono persone di successo secondo le metriche del mondo accademico. Ora stanno sperimentando una popolarità più da showbiz che da rivista scientifica. Cedono alla stessa tentazione che da sempre coglie chi gode di quella fama: dare una risposta a qualsiasi domanda, evitare le tre scomodissime paroline (non-lo-so) che valgono l’esilio dai palinsesti e concedersi il piacere che produce il bias dell’eccesso di fiducia in sé stessi. Ognuno di noi ha delle opinioni e la differenza tra le nostre e quelle di uno scienziato è che il secondo si presume che sappia bene di cosa parla. Si presume, perché l’eccellenza in un campo non implica l’onniscienza rispetto a ripercussioni economiche, psicologiche e sociali delle misure proposte sulla base di un solo obiettivo (ridurre il contagio). Per definizione, una società non può essere orientata a un solo scopo, per quanto veloce corra il Covid. Uno scienziato dovrebbe sapere che la storia dei rapporti tra uomini e parassiti mostra che il carico e la persistenza della minaccia infettiva ha una correlazione robusta con società autoritarie. Ergo, se vogliamo ritrovare le libertà al momento perdute, e non perderle definitivamente, dobbiamo mettere sotto controllo Covid rapidamente e senza far credere che si tratti di una condanna divina.

 

Per gli psicologi sociali cognitivi è quasi un truismo che la pressione di una minaccia epidemica produca conformismo, allineamento sociale e accettazione quasi indifferente di una crescente compressione della libertà. L’idea che si possa giocare a restringere e aprire le libertà a piacere, nella convinzione che a ogni chiusura corrisponderà un’apertura, cioè che la libertà sarà sempre lì ad aspettare, è una credenza ingenua, come si può capire se si conoscono un minimo la storia e la natura umana. Altrettanto ingenua è l’idea che la chiusura oggi possa servire a preparare misure di tracciamento domani. La saggezza delle società liberali appartiene alle loro istituzioni, non ai loro rappresentanti pro tempore: è assai probabile che la possibilità di chiudere, senza perdere troppi consensi, allontani la preparazione di altri strumenti per la lotta al virus. Il dubbio, almeno, dopo questo primo anno di Covid dovrebbe venirci. Ma i dubbi, che tanta parte hanno nella scienza, suonano male in televisione. 

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