LaPresse/PA

Chi controlla il clima

Umberto Minopoli

Prima di irritarsi per lo scetticismo di Donald Trump proviamo a considerare un fatto che la nuova ideologia climaticamente corretta non considera più: il Sole

C’è una storia curiosa, di 33 anni fa, di eresia sul clima che lega Trump, la sinistra inglese e la fisica del Sole. Nel 1984, nelle miniere dello Yorkshire, iniziò la madre di tutti gli scioperi, la battaglia sindacale più famosa di sempre: quella che oppose il NUM di Arthur Scargill, il sindacato nazionale dei minatori, al roccioso governo conservatore della signora Tatcher. I minatori avevano determinato l’ultima vittoria laburista, nel 1974, prima dell’era Blair. Fu la classica vittoria di Pirro. Le miniere di carbone occupavano 120.000 persone su 180.000 del settore carbonifero. Erano la seconda industria estrattiva europea, dopo quella tedesca. Di proprietà statale, in perdita, sovradimensionati e sussidiati i 180 pozzi minerari inglesi erano (con l’industria automobilistica della British Leyland, il servizio ferroviario, quello delle acque) l’obiettivo polemico del celebre Rapporto Ridley, il manifesto programmatico con cui Margareth Thatcher (febbraio 1975) vinse le primarie del partito conservatore e annunciò al mondo la rivoluzione liberista: chiusura delle aziende in perdita, privatizzazioni estese del settore pubblico, apertura ai capitali privati. Nel 1979 la Thatcher scalza i laburisti di Wilson. Nel 1984 l’annuncio della chiusura della miniera di carbone di Cortonwood, nello Yorkshire, avviò la rivolta di Scargill, il più lungo sciopero e la più grande mobilitazione nazionale sindacale dei tempi moderni. Si concluderà, com’è noto, tra violenze dei manifestanti e imbarazzo crescente del partito laburista, nel marzo del 1985 con la sconfessione di Scargill, la fine dello sciopero e la totale vittoria del governo. In poco tempo tutte le miniere di carbone del Regno Unito verrano chiuse. E avviò, anche, il lungo inverno laburista: 18 anni di opposizione, prima del ritorno alla vittoria con Blair. Ma che c’entrano il clima, Trump e le eresie scientifiche con questa storia, nota ed esemplare?

Occorre conoscere un aneddoto, raccontato dal Guardian nel gennaio del 2016 (e che, indirettamente, ispirò un solitario editoriale di Paolo Mieli sul Corriere). Scargyll programmò il grande sciopero nazionale per l’inverno del 1984. Con una convinzione: se l’inverno fosse stato rigido, la chiusura delle miniere per lo sciopero avrebbe piegato la popolarità del governo. Senza carbone nelle stufe delle case inglesi, la sinistra e il generale inverno avrebbero piegato la scelleratezza della Thatcher. I conservatori, sperava Scargill, sarebbero letteralmente morti… di freddo. Per chiedere lumi sulla rigidità dell’inverno, il capo sindacale ingaggiò un giovane fisico e meteorologo, militante di simpatie trotskiste e membro di un gruppo di élite della hard left, l’International Marxist Group. Il giovane si chiamava Piers Corbyn, terzo dei tre fratelli che precedono Jeremy, l’attuale leader laburista. Come finì? Piers azzeccò la previsione: l’inverno del 1984 fu, effettivamente, tra i più rigidi dei tempi recenti. Ma non servì a congelare la Thatcher. A morire di freddo non furono i conservatori: Scargill perse su tutta linea, trascinando nel baratro il Partito laburista. Da quella vicenda, per lui amara, Piers Corbyn trarrà due convinzioni: che le previsioni azzeccate sul clima rigido degli inverni inglesi degli anni Ottanta testimoniavano della bontà del modello previsionale del clima da lui ideato e chiamato Solar weather tecnique (SWT); che la sconfitta del carbone di Scargill equivaleva, per potenza simbolica, allo sfarinamento successivo del Muro di Berlinio: una dissoluzione epocale della sinistra. Ci prese su entrambi. La base della climatologia di Corbyn era lo studio dell’attività solare.

     

Nel futuro del nostro clima, specie in Europa, potrebbero esserci presto inverni rigidi più che il riscaldamento irreversibile

La tesi della fisica del clima, a quel tempo, era dominata dalla teoria dei giochi: i modelli caotici dell’effetto farfalla di Lorenz escludevano la possibilità di accurate previsioni climatiche di lungo periodo. I fisici del Sole però correggevano la teoria dei giochi: l’attività solare era il fattore costante e determinante della storia climatica del pianeta. Di cui si conosceva, seppure ancora a grandi linee, la fisica e la chimica e i fenomeni indotti in atmosfera. Incrociando dati documentali del passato climatico della terra, osservazioni satellitari, nuove tecniche informatiche, la fisica e l’astronomia solare si ritenevano in grado di approcciare previsioni meteorologiche accurate e formulare mappe credibili del futuro del clima. Dal 1840 la fisica del Sole si era messa alla ricerca dei fattori invarianti dell’attività della stella che potevano spiegare le evoluzioni e i cambiamenti del clima terrestre. Per Corbyn e i fisici solari, il segreto delle previsioni meteorologiche stava, nella sostanza, nello studio approfondito del passato, della storia dell’ambiente, degli eventi della storia umana spiegati alla luce delle condizioni climatiche in cui si svolsero, delle serie statistiche delle temperature, delle mappe geografiche del clima (“non vi è niente di veramente nuovo”, sostiene il fisico del sole, “nel clima che non si sia già manifestato in epoche passate del pianeta”), nella comprensione accurata dei fenomeni astronomici e della fisica del pianeta (anomalie dell’orbita, precessioni, variazioni del campo magnetico ecc) nella dinamica degli eventi atmosferici dovuti all’interazione Sole-Terra (venti, correnti, moti degli oceani, catastrofi naturali ecc). Deluso dalla sconfitta epocale della sinistra, Piers Corbyn trasforma la sua fisica solare e il metodo da lui affinato, il Ssolar weather tecnique, in un’impresa economica: la Weather Action, in Borsa dal 1997. L’azienda vende previsioni a lungo raggio, su alluvioni, uragani, tempeste, eventi atmosferici a produttori agricoli, aziende estrattive, investitori in infrastrutture. Tutto questo prima che la trappola del riscaldamento finisse per fagocitare la climatologia, espellere lo studio del Sole dal ruolo di attore dei cambiamenti climatici, imporre l’esclusivo criterio delle ppm di Co2 come fattore esaustivo delle previsioni climatiche di lungo periodo.

    

Il vecchio trotzkista è doppiamente spiazzato dall’approdo del climatismo. Da un lato un nuovo indirizzo disciplinare, centrato sui postulati dell’imprinting antropico sul clima, espunge l’attività solare dalle tecniche e dagli algoritmi dei modelli previsionali meteorologici: Weather Action, la creatura di Corbyn ne soffre; dall’altro, il dogma della decarbonizzazione, abbracciato per conformismo dalla sinistra mondiale, ne decreta la disfatta politica. La dottrina del warming antropico, con la fine dei vecchi miti antagonistici, ha finito per diventare un surrogato di ideologia a sinistra. Con tratti di metafisica, millenarismo e irrazionalità pari, sospetta Corbyn, alle vecchie narrazioni che ha preteso di sostituire. Gli effetti sociali, poi, risultano spaventosi: deindustrializzazione e delocalizzazione sono squassanti per la costituency della sinistra. E Jeremy? L’anziano Piers, nella chiacchierata del Guardian, attribuisce al leader laburista le sue stesse convinzioni e dubbi. Solo che, sostiene lo scienziato, non può manifestarle: “ormai la religione del clima ha imprigionato e resa afasica la sinistra”. Fin qui il vecchio trotzskista e lo scienziato appassionato del sole spiazzato dall’egemonia accademica della dottrina ufficiale della Co2 antropica. Ma le sue tesi rifanno capolino nel dibattito scientifico sul clima: il riscaldamento è davvero un destino irreversibile? La Co2 antropica basta davvero a spiegare, da sola, i cambiamenti climatici?

    

Chi ha dubbi li tenga per sé: "Ormai la religione del clima ha imprigionato e resa afasica la sinistra", dice Piers Corbyn

Un libro recente di un celebre astrofisico e straordinario divulgatore, Stuart Clark (L’Universo, questo sconosciuto, Dedalo 2017), inglese anche lui come Corbyn (sarà che lì vi è nato Newton), riapre la questione dell’impatto climatico del Sole. E ripropone gli interrogativi sulla plausibilità della Co2 antropica come unico fattore alteroclimante. Immaginiamoci, puntualizza Clark, il sistema solare come una fornace: al centro di essa, alimentato dal “crogiolo della gravità”, un motore energetico che brucia combustibile (idrogeno ed elio) alla fantastica temperatura interna di 20 milioni di gradi. Questa fornace irraggia nello spazio circostante (occupato da pianeti, tra cui il nostro, e altra materia per 2x1030 di roba), ogni secondo, 1,365 watt/mq (173.000 terawatt): quantità equivalente al consumo di energia di 100 milioni di anni. Che dà vita a un riciclo perenne: un circolo fantastico di interazioni, di scambi, di restituzioni e assorbimenti (tra terra, oceani, atmosfera terrestre e spazio circostante), di fenomeni atmosferici ed eventi climatici. Questa attività solare, dunque, è il metronomo in ultima istanza delclima terrestre e delle temperature. Questa energia radiante del sole è, incredibilmente, costante: ogni mq terrestre riceve lo stesso numero di watt sia nei periodi di alta che di bassa attività solare. Tale costanza ha fatto sì che, nei modelli matematici del clima, l’attività del sole venga considerata un’invariante ai fini della spiegazione dei mutamenti climatici. Per dar conto degli scostamenti significativi, ad esempio dalle temperature medie, si fa la tara dell’energia radiante del sole. E si cercano le ragioni aggiuntive che motivano scostamenti alteroclimanti. Nella letteratura del warming tale aggiuntività è attribuita, in modo esclusivo, ai tassi di Co2, il gas serra immesso in atmosfera responsabile del ciclo vitale e biologico terrestre. La Co2 è benigna, non è un inquinante. E’ il prodotto e il motore dei sommovimenti energetici della terra, della biologia e di ogni ciclo vitale. Ma, si afferma, c’è un problema di misura: lo scostamento della Co2 dalle quantità ordinarie (280 ppm) presunte fino alle soglie dell’epoca industriale, altererebbe la regolarità degli scambi tra l’energia radiante del Sole, la Terra e l’atmosfera, sconvolgendo gli effetti climatici. L’attività industriale e la rivoluzione dei trasporti avrebbero portato la Co2 a 400 ppm. Questa differenza di 120 ppm avrebbe innescato retroazioni aggiuntive, impreviste e alteranti, agli effetti costanti dell’energia radiante del sole. Se raggiungiamo i 500 ppm di Co2, si sostiene, si innescheranno dinamiche irreversibili, a partire da un aumento inedito e permanente delle temperature, con effetti catastrofici.

    

Questo è ormai, com’è noto, il dogma ufficiale delle teorie del clima, quello dei documenti intergovernativi e delle conferenze sul clima. Il libro di Clark riprende e rilancia un filone vastissimo di fisica del clima perplesso sull’assunzione di fondo della climatologia ufficiale: l’invarianza dell’attività solare ai fini dei cambiamenti climatici. E, dunque, la sua esclusione dai fattori che spiegano il climate change. Da cui discende, come corollario, l’imputazione alla sola Co2 antropica (120 ppm) delle ragioni alteroclimanti. E, cosa ancora più importante ai fini delle politiche del clima, impositive e limitanti, che se ne traggono è il giudizio di irreversibilità dei fenomeni indotti dalla Co2. Il ragionamento è questo: essendo il riscaldamento climatico indotto da un fattore nuovo, aggiuntivo, artificiale, inesistente nel passato della Terra – il tasso di Co2 antropica – è segno di un’alterazione inedita dell’equilibrio del ciclo atmosferico. Si tratta, dunque, di un fenomeno irreversibile. Al contrario: se i cambi climatici fossero correlati a fattori naturali di fisica e chimica dell’atmosfera, ad esempio i cicli dell’attività solare, significherebbe che i cambiamenti climatici cui stiamo assistendo non sono inediti, ripetono fenomeni climatici già verificati nel passato della terra e, dunque, non sono irreversibili. La climatologia imperante nei consessi ufficiali bolla questo interrogativo tecnico come negazionismo. Così però, sostiene Clark, ci si preclude soltanto, in modo irragionevole, la completezza dell’indagine scientifica. Si può, veramente, escludere l’influenza di fattori naturali (non antropici), non inediti, ciclici della storia del clima, dalle cause dei cambiamenti climatici? Possiamo veramente escludere, fosse solo come causa concorrente dei mutamenti del clima e delle temperature (rispetto alla Co2 antropica), una funzione e un’influenza dei cicli dell’attività solare? Clark confessa perplessità. E invita i sostenitori del warming irreversibile e antropico a maggiore prudenza e curiosità scientifica e a minore dogmatismo.

   

Si può escludere l'influenza di fattori naturali, non inediti, ciclici della storia del clima, dalle cause dei cambiamenti climatici?

L’esclusione, sinora, dell’attività solare dai fattori del cambio climatico poggia, come abbiamo visto su una considerazione osservativa: quella dell’invarianza, della costanza quantitativa dell’energia che il Sole trasferisce sulla terra, ogni secondo, sia nella fasi di bassa che di alta attività. Essendo costante e invariante nelle quantità irraggiate in ogni fase, l’energia correlata all’attività solare può essere esclusa dai fattori che spiegano cambiamenti inediti del clima. Ma è veramente così? La manifestazione visiva dell’attività solare e dell’intensità delle sue fasi è data dal fenomeno delle cosiddette macchie solari. La loro percettibilità sulla superfice del sole, con una periodicità di circa 11 anni, è indizio di fasi alte di attività solare. I cicli di 11 anni, in verità, sono solo quelli più esteriori. Minimi e massimi di attività possono, con evidenze esteriori diverse della macchie, segnare periodi più lunghi di attività solare. Per anni si è pensato alle macchie solari come a un fenomeno essenzialmente estetico. Esse sono un prodotto del magnetismo solare, indotto dai processi di fusione nucleare interni alla stella: le onde magnetiche, salendo alla superficie del sole, la forano, provocano il raffreddamento del gas circostante (di qui il colore scuro delle macchie) e il collasso di esso con il rilascio, nello spazio solare, di scoppi di energia ed eruzioni di gas superiori di miliardi di volte quelle di una bomba atomica. Sono i brillamenti solari. Il massimo di effetto catastrofico, indotto dai brillamenti, è ritenuto essere l’evento detto di Carrington (il fisico che lo notò nel 1859): aurore solari e blocchi della tecnologia elettronica (che, a quel tempo, si limitava al telegrafo). Eppure, studiando medie climatiche e storia secolare della temperatura terrestre, i fisici del sole hanno rilevato uno strano fenomeno, non ancora del tutto spiegato: c’è una correlazione storica e statistica evidente (la cui fisica è ancora da decifrare del tutto) tra fasi basse di attività solare (minimi solari) e clima freddo e, addirittura, ere di piccole o grandi glaciazioni. Il primo che lo notò fu Walter Maunder, astronomo reale di Greenwich, che mise in relazione lo scarso numero di macchie solari, dal 1645 al 1715, con gli inverni particolarmente rigidi del periodo. Da allora il minimo di Maunder correla, come unità di misura, la relazione tra scarsa attività solare e previsioni di raffreddamento globale e, persino, di glaciazioni. Il legame tra minimi dell’attività solare e rigidità del clima non è mai risultata smentita, si è sempre rafforzata, nota Clark che cita le serie di studi e rilevazioni che correlano le variazioni climatiche agli andamenti periodici dell’attività solare piuttosto che alle attività umane. Più che adattarsi, conformisticamente ed enfaticamente, alla sola spiegazione dei tassi di emissione della Co2 antropica, fa intendere Clark, occorrerebbe approfondire la fisica e la chimica atmosferiche che sottintendono la periodicità dei picchi di attività solare. Piuttosto che escluderli, sbrigativamente, dalle ragioni dei cambiamenti climatici per privilegiare solo le attività antropiche. La costanza dell’energia irradiata dal sole, nei periodi sia di bassa che di alta attività, non deve trarre in inganno. Sostiene Clark: “L’attività solare (le differenze tra alti e bassi di essa) non scalda o raffredda direttamente il pianeta, ma causa una diversa distribuzione degli eventi meteorologici, attorno al globo”. Ad esempio: l’attività solare influisce direttamente sulla chimica dell’alta atmosfera ( formazione e altezza delle nubi) e sulla circolazione termoalina, il grande flusso delle correnti di acqua e aria del globo, il nastro trasportatore che attraversa come un fiume in circolo il pianeta e determina il clima e tutti i fenomeni meteorologici: ordinari ed estremi. Per i fisici del sole non si possono interpretare correttamente i fenomeni atmosferici e meteorologici e le stesse temperature terrestri se non si include, nei modelli e negli algoritmi del clima, l’attività solare. Si finirebbe per interpretare in modo errato gli effetti sul clima: scambiando, ad esempio, alterazioni contingenti, effetti di fasi cicliche dell’attivita’ del sole con cambiamenti globali e irreversibili. Toppando, in tal modo, l’interpretazione sul futuro del clima terrestre. E’ questo che il climatismo antropico trascura. E veniamo all’oggi. Per anni a questa parte, circa cinquanta, “il Sole ha vissuto un periodo di attività magnetica, insolitamente alta”. Possiamo aver scambiato per riscaldamento globale eventi meteorologici di feedback, nell’atmosfera terrestre, dell’attività magnetica del Sole? Se fosse così potrebbe significare che scambiare l’alternarsi dei climi con cambiamenti globali e irreversibili potrebbe portare fuori strada. Ad esempio: la rigidità degli inverni di Corbyn, alla metà degli anni Ottanta (bassa attività solare) che eccitarono le speranze di Scargill, fu seguita dalla moderazione, di segno opposto, degli inverni della fine degli anni Novanta (alta attività solare). E oggi? A che punto siamo? Da qualche anno, rileva Clark, “il ciclo solare sta sfiorendo di fronte ai nostri occhi”: dal 1995 l’intensità media delle macchie solari cala in “in modo drammatico”. Brevi periodi di risveglio e rivitalizzazione si interpongono in un andamento dell’attività solare, sostanzialmente mediocre. Alcuni fisici ritengono che ci stiamo avviando, addirittura, verso un nuovo minimo di Maunder. Cioè: il preludio di piccole glaciazioni. Forse no, rassicura Clark, ma è evidente, tuttavia, ribadisce che “l’intensità solare non tornerà ai picchi alti di qualche decennio fa”. E lascia capire che nel futuro del nostro clima specie in Europa, potrebbero esserci inverni rigidi più che il riscaldamento irreversibile. Insomma: non irritiamoci troppo per lo scetticismo climatico di Trump e per quello solare del trotzskista Corbyn. Non è detto che abbiano del tutto torto!