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L’efficacia della vaccinazione contro il contagio spiegata a Fusaro e Travaglio

Luciano Capone

Il filosofo "allievo indipendente di Hegel e Marx" e il direttore del Fatto quotidiano sostengono che i vaccini non proteggono dall'infezione. Naturalmente è vero il contrario, basta saper leggere i dati prima di fare paragoni impropri con il 2020

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Sarà per l’arrivo di Omicron, sarà per pregiudizio o per ignoranza, ma ormai si è diffusa la convinzione che i vaccini non servano a evitare il contagio. Un’affermazione infondata che viene pronunciata con una certa assertività, come se fosse un fatto assodato.
 

Due esempi sono Diego Fusaro e Marco Travaglio. Il primo, filosofo “allievo indipendente di Hegel e Marx”, su Twitter fa un confronto con l’anno scorso per intendere che ora, con i vaccini, i contagisono aumentati: “21-12-2020 87.889 tamponi e 10.872 positivi; 22-12-2020 851.865 tamponi e 30.798 positivi. Chiaro, no?”. Travaglio, sul Fatto quotidiano, fa sempre un confronto con dicembre 2020 per dire che, sì, “i vaccini hanno evitato una strage bibilica e (per ora) un altro collasso degli ospedali, ma contro i contagi servono a poco”. E ancor meno serve il Green pass che, anzi, “manda in giro milioni di vaccinati potenzialmente infettivi, ma convinti di non esserlo, spesso più insidiosi dei No vax tamponati ogni due giorni”.

 

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Chissà se Fusaro e Travaglio, entrambi torinesi, hanno avuto gli stessi insegnanti di matematica e logica, perché i dati affermano il contrario. I vaccini riducono, e molto, i contagi. Secondo il più recente report dell’Istituto superiore di sanità (Iss), mediamente, l’efficacia della vaccinazione nel prevenire l’infezione (ovvero la riduzione del rischio rispetto ai non vaccinati) è pari al 62%. Il dato è alto nei vaccinati entro 5 mesi (71%), si riduce dopo i 5 mesi (30%), ma ritorna ai livelli iniziali dopo il booster (71%). Non ci sarebbe altro da aggiungere: questi sono i fatti, il resto sono frottole.

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Questa efficacia si riflette nei dati sui contagi tra i giovani. Il report dell’Iss mostra che in quest’ondata, dal 6 al 19 dicembre, il maggiore aumento di casi e la più elevata incidenza di infezioni si registrano nella fascia d’età 0-19 anni che, guarda caso, per ovvi motivi, è la meno vaccinata. Un’altra prova viene dalla scomposizione di questo gruppo: nella popolazione in età scolare, quella che segna l’aumento maggiore di casi è la fascia 6-11 anni, non a caso molto meno vaccinata rispetto alla fascia 12-19.

 

Ma come mai, allora, i contagi sono più elevati ora che l’80% della popolazione è vaccinata rispetto all’anno scorso quando nessuno lo era? E’ questa, probabilmente, la domanda che si sono fatti Fusaro e Travaglio prima di dare la risposta sbagliata. Il fatto è che sono cambiate alcune cose. Innanzitutto il virus: a dicembre 2020 c’era il ceppo originario di Wuhan, molto meno contagioso delle varianti che circolano oggi (Delta e Omicron). In secondo luogo, forse si dimentica che a dicembre del 2020 eravamo in lockdown (e lo saremmo stati per molte settimane), mentre ora abbiamo restrizioni leggerissime, imparagonabili alla zona rossa. In terzo luogo il numero di tamponi: l’anno scorso non arrivavamo a 200 mila test al giorno, oggi ne facciamo un milione. L’aumento della capacità di testing porta, ovviamente, a rilevare più casi. Infine c’è proprio l’effetto Green pass: essendo obbligatorio per molte attività, ha fatto aumentare il numero di tamponi ed emergere molti positivi asintomatici che prima non si testavano (come peraltro dimostra il tasso di positività all’epoca doppio rispetto a oggi).

 

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La protezione dal contagio non è del 100%, ma ciò non vuol dire che sia pari a zero. E’ molto alta. Da ciò deriva l’utilità del Green pass, che da un lato ha fatto aumentare le vaccinazioni e dall’altro è stato introdotto in molti paesi proprio per ridurre i contagi, in alcuni casi in forma più stringente, escludendo la facoltà del tampone per i No vax (il nostro Super Green pass), come in Germania. E funziona.

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