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L’interesse comune

Gli europei sarebbero senza vaccini senza l’Ue. Non solo i paesi piccoli, anche la Francia

David Carretta

A parte la Germania, che ha risorse finanziarie praticamente illimitate e il peso negoziale di 100 milioni di abitanti, quanti stati membri avrebbero potuto negoziare meglio della Commissione le forniture?

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Se la Commissione di Ursula von der Leyen non avesse adottato la strategia per l’acquisto in comune di vaccini contro il Covid-19, gran parte degli stati membri dell’Unione europea, compresi alcuni pesi massimi come la Francia, oggi si troverebbe senza lo strumento più importante per cercare di battere la pandemia. A dirlo non è un portavoce dell’esecutivo comunitario che deve giustificare i problemi nelle consegne di AstraZeneca, né von der Leyen criticata per i ritardi accumulati dall’Ue nella vaccinazione rispetto a Israele, Regno Unito e Stati Uniti. Ad ammetterlo con un candore sorprendente è stato il ministro francese per gli Affari europei, Clément Beaune, in un dibattito venerdì sera con una delle  star della galassia sovranista francese: Éric Zemmour. “Se avessimo avuto un quadro nazionale” invece che europeo, “noi francesi avremmo firmato un contratto con Sanofi e non saremo pronti ad avere un vaccino in Francia”, ha detto Beaune. La Francia non è un’eccezione. E’ da qui che bisogna partire per comprendere la strategia dell’Ue sui vaccini: a parte la Germania, che ha risorse finanziarie praticamente illimitate e il peso negoziale di 100 milioni di abitanti, quanti stati membri dell’Ue avrebbero potuto negoziare meglio della Commissione le forniture dei vaccini? Quali sarebbero le ripercussioni politiche oggi se il 3 per cento dei tedeschi fosse vaccinato, con tutti gli altri cittadini europei a zero?

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Se la Commissione di Ursula von der Leyen non avesse adottato la strategia per l’acquisto in comune di vaccini contro il Covid-19, gran parte degli stati membri dell’Unione europea, compresi alcuni pesi massimi come la Francia, oggi si troverebbe senza lo strumento più importante per cercare di battere la pandemia. A dirlo non è un portavoce dell’esecutivo comunitario che deve giustificare i problemi nelle consegne di AstraZeneca, né von der Leyen criticata per i ritardi accumulati dall’Ue nella vaccinazione rispetto a Israele, Regno Unito e Stati Uniti. Ad ammetterlo con un candore sorprendente è stato il ministro francese per gli Affari europei, Clément Beaune, in un dibattito venerdì sera con una delle  star della galassia sovranista francese: Éric Zemmour. “Se avessimo avuto un quadro nazionale” invece che europeo, “noi francesi avremmo firmato un contratto con Sanofi e non saremo pronti ad avere un vaccino in Francia”, ha detto Beaune. La Francia non è un’eccezione. E’ da qui che bisogna partire per comprendere la strategia dell’Ue sui vaccini: a parte la Germania, che ha risorse finanziarie praticamente illimitate e il peso negoziale di 100 milioni di abitanti, quanti stati membri dell’Ue avrebbero potuto negoziare meglio della Commissione le forniture dei vaccini? Quali sarebbero le ripercussioni politiche oggi se il 3 per cento dei tedeschi fosse vaccinato, con tutti gli altri cittadini europei a zero?

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Da quando ha  lanciato la sua campagna di vaccinazione a inizio gennaio, l’Ue è riuscita a vaccinare più di 12 milioni di persone. Si tratta di circa il 3 per cento di tutta la sua popolazione. Il paragone con Regno Unito e Stati Uniti, dove il 18 e il 9 per cento della popolazione ha ricevuto almeno una dose, a prima vista è impietoso. Ma l’Ue nelle prossime quattro-cinque settimane dovrebbe recuperare e accelerare. Il fiasco AstraZeneca, con il taglio di oltre il 60 per cento delle dosi promesse all’Ue nel primo trimestre, ha privato gli europei di quella che nei piani iniziali doveva essere l’arma di vaccinazione di massa. Ursula von der Leyen, che domani dovrà dare spiegazioni al Parlamento europeo, ha iniziato a ridimensionare le aspettative. In una serie di interviste la scorsa settimana, la presidente della Commissione ha ammesso che ci sono stati errori e ha spiegato che è meglio attendersi problemi nelle forniture di febbraio e marzo. Eppure von der Leyen ha ribadito che la strategia dell’Ue è quella “giusta”.

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“L’impegno della Commissione nel negoziare con le grandi industrie farmaceutiche per il vaccino – spiega al Foglio l’ex primo ministro finlandese, Alexander Stubb – è stato fondamentale. Altrimenti, piccoli stati come il mio, come la Finlandia, non sarebbero mai stati in grado di avere un numero di dosi adeguato, non avrebbero avuto alcun potere negoziale con le aziende farmaceutiche”. Senza la Commissione, “i grandi stati avrebbero avuto meno difficoltà” nel negoziare gli acquisti, “ma questo avrebbe causato una lotta, delle difficoltà e poi molta frustrazione tra europei. Con la Commissione non è accaduto”, dice Stubb. Il premier della Slovacchia, Igor Matovic, ha detto più o meno le stesse cose al Monde: “Penso che la Commissione abbia fatto un buon lavoro. Non oso immaginare in quale situazione sarebbe la Slovacchia se non facessimo parte dell’Ue”. Oggi invece, in rapporto alla popolazione, Finlandia e Slovacchia hanno superato Italia, Germania e Francia per numero di persone che hanno ricevuto almeno una dose.

 

Secondo Stubb, la Commissione può avere fatto errori di comunicazioni, “ma è importante tenere a mente la big picture. Senza la Commissione alla guida, saremmo stati nel mezzo di guerre e nazionalismo sui vaccini dentro l’Ue”. Meglio smettere di “battersi sulle dosi su base quotidiana”: gli stati membri “devono capire che giocare una carta nazionale in questa situazione è una corsa al ribasso”. Tuttavia evitare una guerra interna all’Ue sulle dosi non è stata la sola considerazione a essere centrale nella strategia della Commissione. “A salvare vite non sono i vaccini, ma la vaccinazione”, continua a ripetere la commissaria alla Sanità, Stella Kyriakides. Dietro a quella frase ci sono alcune decisioni chiave che hanno avuto un impatto sulla velocità dell’Ue. La quota di europei scettici nei confronti dei vaccini è molto più alta che negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Nelle opinioni pubbliche del vecchio continente c’è un’ostilità politica e culturale nei confronti dei Big Pharma che non ha paragoni nel resto del mondo occidentale. La Commissione ha scelto la strada della sicurezza massima possibile per i vaccini e della responsabilità per le società farmaceutiche. Questi due fattori hanno ritardato l’approvazione da parte dell’Autorità europea dei medicinali (Ema) e la firma dei contratti. Ma sono stati considerati essenziali per rafforzare la fiducia dei cittadini nei vaccini e spingerli a farsi vaccinare.

 

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L’approccio europeo è “prudente” perché “abbiamo un rapporto con il rischio che non è quello di israeliani, americani e britannici”, ha spiegato Beaune, commentando i dati del Regno Unito. Londra ha scelto di assumersi tutta la responsabilità per gli indennizzi in caso di problemi. Il governo di Boris Johnson ha adottato una decisione rischiosa: distanziare la seconda dose molto più di quanto consigliato dalle società farmaceutiche. Risultato, meno dell’un per cento della popolazione britannica è completamente vaccinata, una quota inferiore all’Ue. Il ricorso massiccio del Regno Unito ad AstraZeneca solleva dubbi sull’efficacia sulla popolazione anziana e le varianti. “Cosa succederà se AstraZenca non funziona abbastanza? (I britannici) avranno un grosso problema”, ha detto Beaune. L’Ue per contro ha un portafoglio di sei vaccini che copre tutte le tecnologie. “L’Europa è il 4 per cento della popolazione mondiale e ha comprato il 25 per cento delle dosi mondiali”, ha ricordato Beaune. L’Ue si è dimostrata anche flessibile, riuscendo a comprare rapidamente 300 milioni di dosi in più da Pfizer-BioNTech, che grazie alla tecnologia mRNA è più efficace e più facile da modificare per far fronte alle varianti. “La crisi della pandemia è un po’ come il virus, ci mette di fronte a costanti mutazioni”, spiega Stubb, che non esita a dire che la strategia dell’Ue sui vaccini alla fine sarà considerata “straordinaria” come il Recovery fund.

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