(foto LaPresse)

Bisogna produrre più vaccini, ma è illusorio sospendere i brevetti

Gennaro Ciliberto

Più che superare la proprietà intellettuale in mano a un numero ristretto di aziende farmaceutiche, sarebbe meglio puntare sulla diversificazione degli investimenti (che negli ultimi anni, soprattutto in Italia, sono stati inadeguati)

La storia delle ultime settimane ci ha insegnato che non basta avere l’approvazione da parte delle principali agenzie regolatorie (Fda, Ema, Aifa) di vaccini sicuri ed efficaci contro il coronavirus, ma anche che questi vaccini vengano prodotti e distribuiti prontamente alla popolazione, altrimenti i ritardi nell’approvvigionamento fanno saltare tutti i piani vaccinali con conseguenze drammatiche per la salute dei cittadini, la ripresa di una vita normale e la ripartenza dell’economia. La storia delle ultime settimane ci ha anche insegnato che in una pandemia che coinvolge tutta la popolazione mondiale di 8 miliardi di persone l’elevato fabbisogno, chiamiamola pure “fame” di dosi vaccinali, può comportare preferenze nella tempestività della distribuzione di alcuni paesi rispetto ad altri, con conseguenti tensioni politiche tra governi e aziende farmaceutiche, accuse di responsabilità, minacce di azioni legali e dispute infinite.

 

La storia delle ultime settimane ci ha infine ricordato che agenti infettivi come il Sars-CoV-2 vanno incontro a mutazioni legate sia alla loro natura che al loro grado di diffusione e moltiplicazione e che queste mutazioni possono impattare negativamente sull’efficacia delle vaccinazioni. Per cui è plausibile che per domare nei prossimi anni la pandemia dovremo sviluppare successive generazioni di vaccini che siano capaci di seguire l’evoluzione del virus con la conseguenza di dover aumentare ancora di più la capacità produttiva vaccinale. Questi insegnamenti, insieme al rischio sollevato da infettivologi ed epidemiologi di grande esperienza, che ci potranno essere in futuro nuove pandemie, cosa ci portano a concludere? Che occorre pensare strategicamente a rafforzare le capacità mondiali di produzione di vaccini e in particolare, secondo l’opinione dello scrivente, puntare a strutturare e potenziare stabilimenti (le cosiddette strutture Good manufacturing practices – Gmp) specializzati nella produzione di vaccini genetici (e con questo includo i vaccini a Rna, a Dna e con vettori virali quali gli adenovirus), che sono quelli che stanno dimostrando di essere vincenti, sia per efficacia sia per flessibilità e rapidità di produzione. In altre parole, dobbiamo imparare da quanto stiamo vivendo attualmente sia per superare questo difficile momento ma anche evitare di farci trovare impreparati in futuro.

 

Stiamo sentendo in questi giorni di iniziali accordi di collaborazione tra multinazionali farmaceutiche nei quali alcune aziende che non hanno sviluppato loro vaccini contro il coronavirus, stanno mettendo a disposizione loro stabilimenti per la produzione di vaccini già approvati. Il mondo è in grande fermento e questo momento deve far riflettere i nostri decisori politici a non perdere il treno e a investire presto e con lungimiranze in nuove infrastrutture industriali vaccinali. Nelle scorse settimane, da varie fonti, è stato proposto che la soluzione al problema dell’“imbuto” nella produzione dei vaccini risieda nel superamento della proprietà intellettuale che al momento è nelle mani di un ristretto numero di aziende farmaceutiche leader e nell’opportunità di “obbligarle” in qualche modo a stipulare accordi di licenza riguardo alla produzione di lotti clinici di vaccini. Gli accordi di cui sentiamo parlare in questi giorni, ad esempio quello tra Pfizer/BioNTech e Sanofi, oppure ancora tra la stessa Pfizer/BioNTech e la Novartis, smentiscono la mancanza di disponibilità a collaborare e a mettere insieme le forze. Quindi le premesse per alleanze ci sono tutte. Il vero problema invece sta nel fatto che le tecnologie di cui si fa uso, appunto quelle dei vaccini genetici, sono nuove, il know-how è molto specifico e il numero di stabilimenti attivi ristretto. Questo in particolare in Italia dove prima della pandemia esistevano (e la situazione probabilmente è rimasta tale) solo due stabilimenti Gmp per vettori adenovirali, nessuno per Dna plasmidico e nessuno per Rna. Un vero peccato, perché nel nostro paese esistono competenze e know-how per mettere su linee produttive. Solo che non sono stati fatti negli ultimi anni gli adeguati investimenti. Al contrario, si è disinvestito.

 

Un esempio eclatante è quello dell’Agro pontino. Nata come grande area industriale del farmaceutico nell’ultimo ventennio dello scorso secolo, ha subìto, tranne qualche rara e virtuosa eccezione, un pesante ridimensionamento nelle sue ambizioni. Se vogliamo che il nostro paese, come dichiarato da tante parti in più occasioni, possa essere maggiormente protagonista e attrarre ulteriori risorse, dobbiamo reinvestire subito a partire da aree come questa e dalle competenze pre-esistenti, con decisioni rapide. Ma è necessario in questo spirito diversificare gli investimenti non puntando su una sola tecnologia bensì un ampio spettro di vaccini genetici vista la loro complementarietà e la possibilità di sinergie

 

Gennaro Ciliberto è direttore Istituto Regina Elena di Roma e Presidente Federazione Italiana Scienze della Vita

Di più su questi argomenti: