La scuola aperta è un rischio da correre
Ora che c’è la pausa natalizia è tornato il tormentone: a gennaio a lezione normalmente vero? Piccolo viaggio (con chiacchiere con un economista) nelle scelte e nelle strategie dei paesi europei dove si è fatto un calcolo preciso
Lunedì il premier britannico Boris Johnson aveva detto di voler riaprire le scuole a gennaio, “se possibile”, dopo la pausa natalizia. La sua volontà, però, si è presto scontrata con un’affermazione del Nervtag, uno dei comitati scientifici che consigliano il governo britannico, secondo la quale l’alta contagiosità della nuova variante del virus potrebbe essere causata da una maggiore diffusione tra i bambini. Sono affermazioni ancora da verificare, ma si sono aggiunte alla disputa, già molto accesa, su scuole aperte o scuole chiuse. Se durante la prima ondata tutti i paesi europei avevano deciso di tenere gli istituti chiusi e ognuno aveva poi tentato di riaprirli con i suoi tempi – la prima era stata la Danimarca che propose un modello innovativo con aule dimezzate, lezioni all’aperto e orari di entrata e di uscita scaglionati – durante la seconda l’approccio si è differenziato. Emmanuel Macron e Angela Merkel, con l’aumento dei casi tra settembre e ottobre, avevano stabilito che si potesse sacrificare tutto tranne la scuola. E questo è stato l’approccio generale, che la maggior parte degli europei ha deciso di tenere, con periodi di didattica a distanza laddove ci fossero focolai e con protocolli sanitari appositi.
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- Micol Flammini
Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.