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Adesso occorre decidere: riusciamo a isolare i malati dai sani?

Daniele Ranieri

I malati lievi che stanno in casa agiscono come microfocolai, in Cina li mettevano in quarantena, in Italia per ora no

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Roma. Se vogliamo riaprire, con cautela e a scaglioni, dobbiamo prima affrontare alcune questioni. Una delle più importanti è che non vogliamo mettere in pratica la raccomandazione che ci fanno i medici cinesi, separare tutti gli infetti dai sani il prima possibile (il governo cinese non è trasparente, ma i medici cinesi hanno acquisito molta esperienza nella lotta contro il Covid-19). Liang Zong’an, un esperto in malattie respiratorie che è venuto in Italia a spiegare come hanno fatto a contenere il contagio a Wuhan, dice a Bloomberg News che all’inizio anche loro avevano fatto lo stesso errore. La città cinese da undici milioni di abitanti è finita sotto lockdown il 23 gennaio, ma in una prima fase i medici cinesi accettavano negli ospedali soltanto i malati con sintomi gravi e spedivano indietro i malati con sintomi lievi per non saturare il sistema. Ai malati con sintomi lievi raccomandavano di isolarsi in una stanza di casa loro e di evitare i contatti con il resto della famiglia – ma il risultato è che molto spesso i malati con sintomi lievi trasmettevano il virus al resto della famiglia e alcuni dei contagiati diventavano gravi. Quando i cinesi hanno capito che il virus è molto contagioso anche quando i sintomi dei malati sono lievi – oppure persino quando i sintomi non ci sono ancora – hanno cambiato strategia. A partire dal 2 febbraio, a Wuhan è cominciata una operazione molto aggressiva per mettere in quarantena chiunque avesse i sintomi del Covid-19 o fosse sospettato di averli o addirittura in qualche caso fosse stato a contatto con un malato. Zhang Jinnong, capo del reparto emergenze in un ospedale di Wuhan, spiega al Wall Street Journal che secondo lui è stata la misura più importante. La nuova strategia costrinse le autorità a requisire centinaia di alberghi, di scuole e di altri luoghi per trasformarli in centri di quarantena. Inoltre cominciarono i test di massa, perché a quel punto i tamponi non dovevano più servire a capire se un paziente arrivato in ospedale aveva oppure no il virus, ma servivano soprattutto a “vedere” come il virus stava attraversando la città, in quali quartieri stava diventando più denso, quali parti della popolazione e quali quartieri era necessario isolare. I test passarono da duecento a circa settemila al giorno – quindi più della media di oggi in Italia, che ha sessanta milioni di abitanti e non undici. I malati lievi consumano la loro malattia isolati dal resto del mondo. “Basta spegnere il sistema di condizionamento dell’aria negli hotel”, dice Zhang Jinnong, per non facilitare la trasmissione. L’8 febbraio le autorità di Wuhan hanno dato il permesso di ricominciare con ordine alcune attività produttive. Il 3 marzo l’epidemia in città è stata dichiarata “completamente sotto controllo”.

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Roma. Se vogliamo riaprire, con cautela e a scaglioni, dobbiamo prima affrontare alcune questioni. Una delle più importanti è che non vogliamo mettere in pratica la raccomandazione che ci fanno i medici cinesi, separare tutti gli infetti dai sani il prima possibile (il governo cinese non è trasparente, ma i medici cinesi hanno acquisito molta esperienza nella lotta contro il Covid-19). Liang Zong’an, un esperto in malattie respiratorie che è venuto in Italia a spiegare come hanno fatto a contenere il contagio a Wuhan, dice a Bloomberg News che all’inizio anche loro avevano fatto lo stesso errore. La città cinese da undici milioni di abitanti è finita sotto lockdown il 23 gennaio, ma in una prima fase i medici cinesi accettavano negli ospedali soltanto i malati con sintomi gravi e spedivano indietro i malati con sintomi lievi per non saturare il sistema. Ai malati con sintomi lievi raccomandavano di isolarsi in una stanza di casa loro e di evitare i contatti con il resto della famiglia – ma il risultato è che molto spesso i malati con sintomi lievi trasmettevano il virus al resto della famiglia e alcuni dei contagiati diventavano gravi. Quando i cinesi hanno capito che il virus è molto contagioso anche quando i sintomi dei malati sono lievi – oppure persino quando i sintomi non ci sono ancora – hanno cambiato strategia. A partire dal 2 febbraio, a Wuhan è cominciata una operazione molto aggressiva per mettere in quarantena chiunque avesse i sintomi del Covid-19 o fosse sospettato di averli o addirittura in qualche caso fosse stato a contatto con un malato. Zhang Jinnong, capo del reparto emergenze in un ospedale di Wuhan, spiega al Wall Street Journal che secondo lui è stata la misura più importante. La nuova strategia costrinse le autorità a requisire centinaia di alberghi, di scuole e di altri luoghi per trasformarli in centri di quarantena. Inoltre cominciarono i test di massa, perché a quel punto i tamponi non dovevano più servire a capire se un paziente arrivato in ospedale aveva oppure no il virus, ma servivano soprattutto a “vedere” come il virus stava attraversando la città, in quali quartieri stava diventando più denso, quali parti della popolazione e quali quartieri era necessario isolare. I test passarono da duecento a circa settemila al giorno – quindi più della media di oggi in Italia, che ha sessanta milioni di abitanti e non undici. I malati lievi consumano la loro malattia isolati dal resto del mondo. “Basta spegnere il sistema di condizionamento dell’aria negli hotel”, dice Zhang Jinnong, per non facilitare la trasmissione. L’8 febbraio le autorità di Wuhan hanno dato il permesso di ricominciare con ordine alcune attività produttive. Il 3 marzo l’epidemia in città è stata dichiarata “completamente sotto controllo”.

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In Italia in questo momento ci sono più di quarantamila persone infette in isolamento domiciliare e agiscono come microfocolai. Non possono uscire di casa, anche se secondo i dati diffusi ieri dal Viminale in quattro giorni la polizia ha sorpreso 257 persone che sapevano di essere positive in giro – in centro a Milano oppure all’uscita di un supermercato (e ora rischiano cinque anni di carcere per epidemia colposa). Anche se i positivi non escono, è probabile che trasmettano il virus ai familiari e quelli come minimo escono per fare la spesa.

 

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In teoria lo stato può ottenere una “fotografia” ad alta definizione del contagio con test di massa (fatti a milioni, non a migliaia) e poi decidere di mettere in quarantena i positivi per isolarli dal resto della popolazione. Dovrebbe trovare molti luoghi adatti a una soluzione del genere, come caserme dismesse e alberghi (tanto la stagione turistica non sarà fortissima). Dovrebbe tenere i positivi di una stessa famiglia nello stesso luogo, ovviamente, e procedere su base locale così nessuno sarebbe lontano da casa. Sarebbe una strategia costosa, ma sarebbe senz’altro meno costosa che bloccare di nuovo tutto il paese. In pratica però c’è il rischio di ottenere l’effetto opposto. Per non andare due settimane in quarantena, molti potrebbero tentare di sfuggire il più possibile ai test oppure non dire di avere sintomi lievi e quindi invece che una fotografia esatta del contagio si allargherebbe la parte “sommersa” – e molto pericolosa. E al posto di una separazione netta tra sani e malati ci sarebbe un gioco a guardia e ladro su scala nazionale, cosa che un paese non può permettersi durante una pandemia. Ma è adesso che occorre capire se è fattibile.

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