(Foto di Ansa) 

Roma Capoccia

“Addio Roma”, un libro per sfatare i luoghi comuni sulla capitale

Andrea Venanzoni

La Città eterna gode di una storia millenaria ma Milano è più accattivante, più strutturata, meglio organizzata: non è che Roma sia stata agevolata a discapito del capoluogo lombardo?

“Me ne andavo da quella Roma/ Che ci invidiano tutti, la Roma caput mundi” cantava Remo Remotti in “Mamma Roma addio”, snocciolando i difetti genetici di una città che per colpe proprie e altrui si è situata ormai da decenni fuori dalla storia. Ed è quindi prezioso, per le analisi, per i dati, per la significativa verve narrativa e per la precisione, acuta e spesso lancinante nel mettere assieme tra loro storia, politica, statistica, economia e analisi di insieme, il libro “Addio Roma. Quando lo Stato decise di spostare la Capitale a Milano” di Mario Rossi, uscito nel 2021 per Armando editore.

Negli ultimi anni c’è stato un significativo ritorno di attenzione libraria su Roma, complice il sopito centocinquantenario di Roma Capitale, finito in sordina un po’ per la pandemia un po’ perché la questione romana non si è mai davvero risolta. Caso più unico che raro abbiamo una capitale che per politica, cultura e dibattito pubblico rappresenta un “argomento divisivo”. 

Il libro di Rossi si divide in due parti: la prima è la ricostruzione storico-politica, corroborata dai riferimenti normativi e dagli aneddoti, di quella silente ma feroce “romofobia”, originata dalla caduta del fascismo e che portò i costituenti a guardare con ritrosia alla idea di costituzionalizzare la capitalità cittadina. Ci volle la riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001, per riconoscere che la capitale della Repubblica è Roma. 


Rossi ricostruisce la sequela torrenziale di sgangherate leggi-provvedimento che negli anni cinquanta e sessanta trasferirono fondi ingenti a Roma, sì, ma in un quadro estemporaneo, privo di una visione complessiva e soprattutto in assenza di una complessiva governance degna di una capitale. Ma l’autore fa giustizia, dati e numeri e ricostruzione analitica dei fatti alla mano, in una lunga seconda parte, di un tendenziale luogo comune ormai incistatosi. E cioè il fatto che Roma sia stata eccessivamente agevolata a discapito anche se non soprattutto della capitale morale, qualunque cosa voglia dire, che sarebbe Milano.
Qui Rossi dimostra come la svogliata politica locale, la disattenzione del legislatore e le maggiori capacità comunicative meneghine, capaci di generare un moto continuo di good news aventi a oggetto Milano, abbiano portato da un lato al depauperamento dei provvedimenti legislativi, come la legge per Roma cui viene dedicato un intero capitolo, concernenti la capitale e dall’altro lato a un crescente interesse per la locomotiva economica d’Italia.


Richiamando un eccellente pezzo di Michele Masneri, Rossi ricorda la strutturalità comunicativa di una città come Milano che nei fatti vive in un flusso continuo di comunicazione e di public relations, capaci di ontologizzare il brand Milano, rendendolo decisamente più accattivante e inondando il resto del paese con notizie positive concernenti il capoluogo lombardo.

Rossi non le manda a dire. Lo stile è giustamente corrosivo e puntuto, ma mai gratuito. Non siamo al cospetto di un pamphlet ma di un saggio documentato e che segue, in maniera coerente, una propria tesi: che è quella della progressiva, inesorabile spoliazione di Roma della sua funzione capitale. Una spoliazione generata da diversi fattori tra loro cospiranti e da una attrazione ascendente verso Milano, che ha visto non casualmente ripetuti tentativi, in alcuni casi riusciti, di rilocazione di plessi finanziari, sedi amministrative, società.
Rossi non è nemmeno assolutorio nei confronti della capitale e della sua classe dirigente. La sua non è una difesa acritica. Ricorda infatti in maniera lucida l’incredibile masochismo di una politica locale piccina e chiusa in sé stessa, spaventata dalle novità e dalle realizzazioni infrastrutturali. Il rifiuto dei grandi eventi, delle grandi opere, l’orizzonte prospettico limitato e asfittico, hanno contribuito, assieme alla narrazione intessuta di sperticate lodi a Milano, a far piombare Roma in un limbo senza apparente via d’uscita.

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