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Roma Capoccia

Due soli locali ieri hanno sfidato le chiusure e violato la legge

Gianluca De Rosa

Passeggiata tra i ristoratori che protestano come se il Covid non esistesse e così danneggiano le loro buone ragioni

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Tutti attendono e si chiedono: “Alla fine la multa gliela faranno o no?”. Tra fotografi, operatori e giornalisti riuniti in campanello fuori dal ristorante di via dei Crociferi, un passo da palazzo Chigi, è questa la domanda che attende risposta e promette notizia. Il locale, gestito dal giovane imprenditore Antonio Russo e da sua moglie, ha aderito alla protesta della categoria, i tavolini fuori sono, stranamente per il periodo, ordinatamente apparecchiati con piatti, posate, tovaglioli e bicchieri. Parte la disobbedienza civile, “da oggi riapriamo”. Lo slogan è ad effetto “Contro la variante Imprese l’unico vaccino si chiama Lavoro”. E però nella dimensione surreale del centro storico ridotto a borgo abbandonato tutto quel circo di telecamere, cavalletti, macchine fotografiche ha avuto il suo effetto. I vigili che qualche metro più in là sorvegliano la deserta piazza di Trevi si sono accorti dell’evento e hanno chiamato rinforzi. Prima arrivano due volanti. Poi uno alla volta entrano quasi dieci pizzardoni e da qualche minuto discutono con Russo, la moglie e Paolo Bianchini, presidente dell’associazione dei ristoratori Mio Italia.

 

A dire il vero la protesta annunciata sui social tra chat, gruppi e pagine Facebook – con tanto di domande e risposte fornite da un avvocato ai potenziali disobbedienti – non ha riscosso un enorme successo. In tutta Roma i ristoranti aperti contro le regole sono solo due. Oltre a quello di Russo c’è un locale a Prati, in via Crescenzio (un terzo ristorante ha dato buca all’ultimo alla protesta). “Sono solo quelli che si sono resi disponibili a parlare con i giornalisti, ma a poco a poco riapriremo tutti, solo così si può manifestare”, spiegherà più tardi Bianchini che in questi giorni sarà a Roma per presentare ai partiti le richieste dei ristoratori, ma garantisce che nei prossimi giorni aprirà anche il suo locale a Viterbo. Nonostante le parole però, girando la città di tavoli apparecchiati a dispetto delle regole governative non se ne vedono. Almeno in centro c’è da dire che tra smart working e assenza di turismo, aperti o meno, per i ristoranti la vera impresa sarebbe quella di trovare clienti.

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Mentre i cronisti attendono l’esito dell’intervento dei vigili ancora all’interno del locale passa un manipolo di turisti. Radioline cuffietti e ombrellino per guidare il gruppo. Spontaneamente parte un applauso. “Bentornati, finalmente. Da dove venite?”. “Sono croceristi, manco li riconoscete più”, risponde ridendo a fotografi e giornalisti la guida del gruppo. Poco dopo, come sono entrati, uno ad uno, i vigili escono dal ristorante. Qualche istante più tardi fanno lo stesso anche Antonio, sua moglie e Bianchini: “Il locale resta aperto”, annunciano. E la multa? Per ora nulla. In assenza di clienti non c’è violazione delle regole. E allora che hanno fatto i vigili finora? “Ci hanno spiegato che rischiamo le sanzioni e lo stesso vale per gli eventuali clienti, ma sono stati molto cortesi, noi gli abbiamo spiegato perché protestiamo. Le forze dell’ordine sono solidali con noi: martedì 10 imbecilli hanno infangato le nostre ragioni”. Quali? Per tutti le illustra Bianchini: “Stanno arrivando gli sfratti esecutivi sulle nostre Pec, non abbiamo più la liquidità per pagare le bollette elettriche e non abbiamo avuto garanzie sui mutui, i costi fissi continuano a correre e noi non possiamo riaprire, mediamente abbiamo perso il 60 per cento del fatturato, 40 aziende su 100 sono a rischio chiusura, gli aiuti del decreto Sostegni non bastano, coprono una parte ridicola del fatturato perso e soprattutto non forniscono alcuna garanzia sui costi fissi”.

 

Le richieste dei ristoratori sono tre: bloccare gli sfratti, prorogare fino al 31 di dicembre la moratoria sui finanziamenti (per pagamento di mutui, leasing, etc) e, battaglia delle battaglie, stabilire per legge lo stop per tre anni alle licenze di somministrazione. Spiega Bianchini: “Oggi per ottenerla basta inviare una Pec al comune per la Scia, in questo modo le multinazionale del junck food e la criminalità organizzata, che hanno molta liquidità, a prezzi bassissimi potranno papparsi i centri storici di tutte le nostre città sostituendo il 40 per cento di aziende a rischio fallimento, bisogna intervenire”.

 

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