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roma capoccia

Gli assessori di Raggi che gufano per la condanna

Gianluca De Rosa

Sabato la sentenza del processo Marra. Ecco chi spera nel verdetto sfavorevole per la grillina. Poi c’è la Lombardi

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Sabato sarà un giorno importante per il futuro di Roma. La prima vera tappa dell’insolita campagna elettorale pandemica che porterà all’elezione del prossimo sindaco della Capitale. Gli occhi della politica capitolina saranno tutti puntati sull’aula Europa della Corte di Appello. Dopo domani, infatti, il presidente della seconda sezione penale della Corte, Antonio Lo Surdo, si alzerà in piedi e chiuderà la sua carriera da magistrato, prima di andare in pensione, leggendo la sentenza che assolverà o condannerà l’attuale inquilina di palazzo Senatorio Virginia Raggi dall’accusa di falso documentale in atto pubblico.

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Sabato sarà un giorno importante per il futuro di Roma. La prima vera tappa dell’insolita campagna elettorale pandemica che porterà all’elezione del prossimo sindaco della Capitale. Gli occhi della politica capitolina saranno tutti puntati sull’aula Europa della Corte di Appello. Dopo domani, infatti, il presidente della seconda sezione penale della Corte, Antonio Lo Surdo, si alzerà in piedi e chiuderà la sua carriera da magistrato, prima di andare in pensione, leggendo la sentenza che assolverà o condannerà l’attuale inquilina di palazzo Senatorio Virginia Raggi dall’accusa di falso documentale in atto pubblico.

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Tutta la galassia della politica capitolina, da destra a sinistra, attende la decisione. Persino dentro la sua giunta c’è chi – pur non augurando una condanna – è consapevole e forse, chissà, un po’ spera nei potenti effetti politici che una sentenza sfavorevole alla prima cittadina produrrebbe. Un’arma formidabile e tempestiva per minare la ricandidatura di Raggi, per toglierle l’ombrello del M5s e aprire all’alleanza di governo con il Pd anche nella Capitale. Un’opzione che nella squadra della sindaca è auspicata da più di qualcuno, a partire dal suo vice, Luca Bergamo, da sempre vicino al centrosinsitra, che in un’intervista di un paio di mesi fa al Corriere della Sera lo ha detto chiaramente: “La candidatura deve essere il frutto di un confronto aperto sul futuro. La destra si può battere solo mettendo attorno a un tavolo il M5s, il Pd e quello che c'è a sinistra”.

   

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Come lui la pensa anche l’assessore all’Urbanistica Luca Montuori e quello allo Sport Daniele Frongia, un tempo fedelissimo della prima cittadina, oggi silente fautore dei nuovi equilibri giallorossi. Su questa linea anche l’assessore Veronica Mammì (moglie del consigliere comunale Enrico Stefàno). Neutrale, ma sempre con il dente avvelenato, il presidente del consiglio comunale Marcello De Vito.

  

Virginia Raggi però è l’unico nome su cui il segretario del Pd Nicola Zingaretti non è disposto a trattare per il futuro di Roma, il tenace ostacolo da superare per un’alleanza. Ma la sindaca che ha annunciato la sua ricandidatura lo scorso agosto non ha alcuna intenzione di farsi da parte. A questa platea ipnotizzata dalle mosse del tribunale ha risposto già lunedì, giorno in cui era prevista inizialmente la sentenza, poi rinviata causa malattia della procuratrice titolare del fascicolo. “Vado avanti a testa alta”, ha detto. “Anche se condannata non mi ritiro, non sperateci”, hanno tradotto tutti. In quel caso però, è facile scommetterci, intorno a lei ripartiranno le trattative.

  

Per Raggi in caso di pollice verso invece le strade sarebbero soltanto tre: il passo indietro (improbabile), la candidatura in solitaria davanti al muro del M5s o costringere i grillini all’ennesima capriola. Sdoganando così “la condanna zero”. Il codice etico del Movimento, infatti, la metterebbe fuori gioco. Il documento considera "condotta grave incompatibile con la candidatura il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del M5s la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo". Per questo la sindaca di Torino Chiara Appendino si è autosospesa dal Movimento e ha rinunciato al bis dopo la condanna per falso ideologico di alcune settimane fa. Raggi spera in una deroga, forte dell’assoluzione in primo grado. Su queste materie a decidere è il Comitato di garanzia.

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Tra i membri c’è anche l’arcinemica di Virginia Raggi, la capogruppo grillina in Regione Lazio Roberta Lombardi che già da mesi invita la sindaca a un passo indietro. “È una candidatura non vincente”. In caso di condanna Lombardi non ha dubbi: “Le regole valgono per tutti allo stesso modo”. Tradotto: Virginia Raggi non potrà correre con il suo nome scritto al fianco del logo del M5s. A quel punto grillini e Pd potrebbero cercare di trovare un candidato comune con però un doppio ostacolo. L’ostinazione e la tenacia dei due attuali candidati: Virginia Raggi e Carlo Calenda. Entrambi, almeno a parole, non rinuncerebbero alla corsa, rendendo molto complicata quella dell’eventuale candidato comune. Il processo ruota tutto intorno a una nomina dirigenziale dell’autunno 2016, quella con la quale la sindaca, appena eletta, aveva scelto Renato Marra, fratello del suo allora braccio destro Raffaele, per guidare il dipartimento Turismo.

  

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Rispondendo ad alcune domande dell’Anac sulla nomina la sindaca disse che Marra (Raffaele) si era limitato ad una “mera e pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali”. “Un falso”, secondo la Procura che accusa Marra di essersi dato da fare per la promozione del fratello visto che anche formalmente partecipò alle procedure per l’interpello che ha portato alla nomina (poi ritirata). Una tesi bocciata in primo grado dal giudice Roberto Ranuzzi che ha assolto la sindaca.

 

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