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Il racconto della giornata

La Russa fa mea culpa e Santanchè si salva: "FdI non mi vuole? Fuori i nomi"

Simone Canettieri

Il presidente del Senato ammette di aver sbagliato la dichiarazione sul caso del figlio, la ministra supera la richiesta di dimissioni: "Non è vero che il partito non mi vuole. Ho sentito Giorgia"

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E anche la giornata “Russanchè” in Senato è filata liscia, almeno in apparenza. Si tratta del mercoledì dello stupendo ircocervo politico made in Fratelli d’Italia, metà pizzetto e metà borsa Kelly di Hermès, inseparabile amica della ministra del Turismo alla prova (scontata) dell’Aula. Prima tocca a lei, respingere la mozione di sfiducia del M5s (finisce 111 a 67, con il Terzo polo che non partecipa al voto). Poi spetta a lui, a Ignazio La Russa, affrontare con leggerezza e punte di innegabile simpatia la cerimonia del Ventaglio, che non è stata quella del bavaglio, anche se si è trattenuto.  


E dunque, quando viene sera, non si capisce se sia stato più un rito formale la difesa d’ufficio, senza pathos, della ministra del Turismo (inseguita dal fisco e dalle inchieste per la sua attività di imprenditrice) o l’annuale incontro con la stampa parlamentare della seconda carica dello stato. Santanchè a risultato acquisito dice alla buvette che “è stata una bellissima giornata”.

Poi al Foglio aggiunge: “Oggi ha vinto il garantismo, e non può che essere una bella notizia”. Ma ministra, lo sa che dentro il suo partito in tanti vorrebbero che lei facesse un passo indietro? “Ma non è vero! Mi dica i nomi. Ha visto che numeri ho ottenuto? Siamo stati tutti compatti, come maggioranza. E Fratelli d’Italia sta con me”. Raccontano pure di una Giorgia Meloni fredda con lei e pronta a mollarla davanti a un rinvio a giudizio. “Questo non è vero, ci siamo sentite anche adesso. Però non parlo, non posso e non voglio farlo. Una cosa vorrei dirla”. E siamo qui per questo. “Scriverete almeno che ero in Aula, ma che per correttezza e opportunità istituzionali non ho partecipato al voto su di me?”.

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La Santa scompare fra i corridoi del Senato, e nel salone Garibaldi c’è chi scherza. Perfide voci femminili: “Vista la collezione di borse che possiede, Kelly e Birkin, avrebbe potuto dare quelle come garanzia per i debiti di Visibilia”. Bisogna attaccarsi a questi commenti perché per il resto rimane poco sul taccuino. Tipo: piccola baruffa innescata da Ettore Licheri del M5s che dà di “pagliacci” ai colleghi della maggioranza. E viene ricoperto da cori che gli danno del “buffone” con Maurizio Gasparri che gli urla “ridiiii, pagliaccio!!!”.

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La Russa presiede l’Aula, si punge un po’ con Walter Verini del Pd: il presidente del Senato sembra molto interessato alla prima pagina di Libero che tiene sul suo scranno sopra agli altri giornali (titolo provocatorio: “La grandine è fascista”). La notizia è che l’opposizione si spacca. Matteo Renzi non c’è. Il Terzo polo accusa il M5s di aver fatto un favore alla Santanchè. “Con il Pd che come al solito è subalterno”, dice il capogruppo Enrico Borghi, che è un ex Pd. Stefano Patuanelli, capogruppo grillino, dice “certo, la mozione sarà respinta, ma l’esperienza insegna che poi alla fine cadono i governi”. Giancarlo Giorgetti sorride. Santanchè, in gessato, alla fine parla. Se la prende con lo “pseudogiornalismo”, si racconta   in terza persona e di fatto dice – questa è la chiave difensiva – che tutte le accuse sono comunque “antecedenti” il suo giuramento da ministra.

Forza Italia accusa  il Pd: è l’ancella del M5s. I grillini si fanno paladini della libera stampa, loro che mettevano alla gogna  i giornalisti sul web. Carlo Calenda: “Grazie al M5s oggi è una bellissima giornata per la ministra”. Che accoglie il risultato avvolta da baci e abbracci, con un gesto liberatorio della mano che sta a significare: capirai dove vogliono andare con 67 miseri voti. Nei corridoi, senatori di Fratelli d’Italia confessano: “Davanti a  un rinvio a giudizio Giorgia la farà saltare come un tappo di Moët & Chandon, anzi di prosecco: siamo patrioti”. Ma sono speculazioni sul futuro. Qui si vive il presente, con qualche sbadiglio. Al ristorante del Senato ecco Giuseppe Conte (sta qui per le nomine delle bicamerali): “Chi non ha partecipato al voto è complice”. Il M5s prima aveva sventolato il codice etico di FdI.  Poi c’è La Russa. Risponde a tutte le domande del presidente della Stampa parlamentare Adalberto Signore. Unico titolo, dopo le critiche di Meloni: “Non rifarei la dichiarazione in difesa di mio figlio perché non sono stato bravo a far comprendere che non c’era nessun attacco alla ragazza. Mi riferivo – dice – alla scelta del suo difensore di aspettare 40 giorni per la denuncia”. Sull’amica Santanchè: “Non ci sono mai stati casi di sfiducia per fatti antecedenti l’incarico”. Gong.  

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