Giorgia Meloni e Marine Le Pen nel 2015 (foto Ansa)

Francia vs. Francia

Incapaci forse, lepenisti no. Gli errori del governo francese quando parla di Meloni

Claudio Cerasa

Perché il ministro dell’Interno francese sbaglia gravemente a considerare la presidente del Consiglio come una copia del modello Le Pen

Le dure parole indirizzate ieri all’Italia dal ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, possono essere lette attraverso due chiavi di lettura differenti, entrambe utili a mettere a fuoco un tema cruciale per il futuro dell’Italia: che cosa sta succedendo al governo Meloni?

 

La prima chiave di lettura riguarda la forma, e non tanto la sostanza, e non bisogna essere dei raffinati analisti politici per riconoscere che le parole di Darmanin, “il governo Meloni è incapace di gestire i problemi migratori per i quali è stato eletto”, non aiuteranno certo la Francia a ricucire i rapporti diplomatici che da qualche mese il presidente francese, Emmanuel Macron, e il capo del nostro governo, Giorgia Meloni, stanno provando a rimettere in ordine (Macron, piccola notizia, ha invitato Meloni a Parigi, come confermano al Foglio fonti dell’Eliseo, ma la data dell’incontro non è stata ancora concordata). Pensare che quello di Darmanin sia solo un infortunio sarebbe però un grave errore. Sono mesi, se si ha la pazienza di riavvolgere il nastro, che il governo francese cerca di usare Giorgia Meloni per demolire ulteriormente l’immagine pubblica del partito di Marine Le Pen. E sono mesi che il governo francese cerca di replicare con il governo Meloni la stessa tattica adottata nel 2018 dinanzi al governo gialloverde. Tattica così riassumibile: cari elettori francesi, non fidatevi dei sovranisti, perché quando vanno al governo, regolarmente, mostrano di essere dei pericolosi populisti, incapaci di governare. Si potrebbe dire che il ministro francese non ha tutti i torti quando definisce il governo italiano “incapace” di risolvere i problemi che ha l’Italia sul terreno dell’immigrazione (il problema non sono gli sbarchi che aumentano, il problema è la difficoltà del governo Meloni a sbarcare in Europa con una proposta forte per migliorare la solidarietà dell’Ue). Ma la critica che rivolge Darmanin a Meloni, e qui arriviamo al secondo punto e alla seconda chiave di lettura, appare al fondo molto sconclusionata, perché mostra un approccio della Francia al tema dell’immigrazione opposto a quello predicato dallo stesso Macron. Il presidente francese, da anni, afferma che per governare l’immigrazione occorre una maggiore solidarietà tra i paesi europei. E se è vero che i problemi dell’Italia, su questo terreno, sono problemi che si possono risolvere solo in Europa (trattato di Dublino, rimpatri europei, corridoi umanitari, aiuti a paesi come la Tunisia) stupisce che sia proprio un ministro macroniano a voler riportare a una dimensione nazionale la risoluzione di problemi di carattere comunitario. E’ vero. L’Italia, sull’immigrazione, ha un’agenda che fatica a fare pienamente i conti con il principio di realtà, a causa di un approccio del governo che non riesce a spezzare fino in fondo le catene del nazionalismo. Ma considerare la traiettoria del governo Meloni come una fotocopia del modello Le Pen è un errore macroscopico, un po’ populista. Un errore che si può giustificare con la volontà del fronte macroniano di iniziare anzitempo la campagna elettorale per le prossime europee ma che non si può giustificare se si scioglie di osservare senza fette di salame sugli occhi, o se volete senza fette di formaggio, un tentativo concreto messo in campo negli ultimi mesi da Meloni: europeizzare il sovranismo. Non si può dire che Meloni abbia un approccio lepeniano sull’economia (prudenza sul debito). Non si può dire che Meloni abbia un approccio lepeniano in politica estera (atlantismo anti putinista).

 

Non si può dire che Meloni stia costruendo la sua campagna elettorale europea con un approccio lepenista (il gruppo europeo guidato da Meloni, Ecr, è anti lepenista, è anti putiniano, e piuttosto che guidare l’Europa con il gruppo parlamentare di cui fanno parte i lepeniani, e da cui si stanno allontanando anche i leghisti, Meloni probabilmente sarebbe disposta ad allearsi con alcuni partiti centristi, per esempio i Verdi). E non si può dire neppure che Meloni abbia un approccio lepeniano sull’immigrazione, considerando una lenta ma visibile trasformazione del governo, che, pur con molta difficoltà, è passato dalla stagione del blocco navale (alziamo i muri per governare l’Europa) alla stagione della ricerca dell’aiuto dell’Europa per governare l’immigrazione (al netto delle scemenze sulla sostituzione etnica, il governo ha scelto di portare avanti una politica sull’immigrazione opposta a quella suggerita dal modello Le Pen: coinvolgere l’Europa, per avere maggiore solidarietà, e allargare le maglie del decreto Flussi per regolarizzare un numero maggiore di migranti, e aiutare così le imprese italiane alla ricerca di manodopera). Dunque, sì: si può dire che il governo italiano, effettivamente, non è stato ancora in grado di risolvere i problemi sull’immigrazione. Ma il governo francese dovrebbe esserne lieto. E dovrebbe notare che la ragione per cui l’approccio sovranista sta fallendo, su questo terreno, è legata al fatto che la destra meloniana sta cercando di fare passi in avanti dalla stagione della propaganda a quella della realtà. E per fare questo l’Italia – oltre che dimostrare la sua capacità, la sua affidabilità, la sua credibilità, tanto sull’immigrazione quanto sul Pnrr – avrebbe bisogno di un governo francese desideroso di seguire un approccio meno miope rispetto a quello attuale.  Un approccio finalizzato a combattere il lepenismo di governo non descrivendo il melonismo per quello che non è (ovvero una copia del modello Le Pen) ma usando la lenta conversione europeista di Meloni per rendere evidente che il populismo alla prova di governo è la dimostrazione concreta di cosa deve fare la propaganda per adattarsi alla realtà. E il fatto che il governo Meloni abbia scelto di allontanarsi dalle sue promesse elettorali più che un segno di incapacità dovrebbe essere salutato dagli amici francesi come un segno di maturità. Meno propaganda, più fatti. Vale per il governo italiano. Ma oggi vale anche per quello francese.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.