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L'addio di Cancelleri al M5s tra polemiche per i due mandati e riconoscenza

Paolo Mandarà

L'ex (due volte) candidato grillino alla regione Sicilia dice che i MoVimento non è più la stessa cosa e se ne va dopo aver provato invano a convincere Giuseppe Conte a sostenerlo come sindaco di Catania

Aveva assistito Beppe Grillo durante la traversata dello Stretto, era il 2012, alla vigilia delle elezioni Regionali che lo videro candidato per la prima volta alla presidenza con la casacca dei Cinque Stelle (sconfitto da Rosario Crocetta). Ci ha riprovato cinque anni dopo, infrangendosi sul centrodestra di Musumeci e Micciché. Ma la terza chance – mancata – gli è andata di traverso: così Giancarlo Cancelleri, che nel frattempo era volato a Roma come viceministro e sottosegretario alle Infrastrutture, ha rotto con Giuseppe Conte e abbandonato definitivamente il M5s, la creatura che nell’Isola ha contribuito a rendere grande.

I grillini non sono più la stessa cosa, e non lo è nemmeno Cancelleri che ha provato più di una volta a “forzare” il tetto dei due mandati. La scorsa estate, di fronte ai silenzi di Giuseppi, aveva deciso di rinunciare alla terza candidatura a governatore, perché consapevole che la questione stava diventando un po’ troppo personale. Nel giro di pochi mesi, però, quella smania è tornata più forte di prima. Cancelleri incrocia il suo “vecchio” a Palermo – era stato viceministro nel primo governo Conte, in quota Di Maio – e prova a far quagliare qualcosa: “Gli proposi di fare una lista civica a Catania con me candidato a sindaco e che avesse l’appoggio del Movimento. Lui mi rispose che questo significava eludere una regola”, dichiara Cancelleri al Quotidiano di Sicilia.

Il leone siciliano del M5s incassa un rifiuto bell’e buono e comincia a guardarsi intorno. In attesa che il Movimento scelga il proprio candidato a sindaco nel capoluogo etneo – alla fine la scelta ricade sul docente universitario Maurizio Caserta, appoggiato anche dal Pd – l’ex sottosegretario salta sulla barca di Enzo Bianco, ex ministro dell’Interno, più volte sindaco di Catania, che però la Corte dei Conti dichiara “incandidabile” per dieci anni per aver contribuito al dissesto finanziario del Comune. Il castello di carta crolla e Cancelleri, finito nel mirino degli ex compagni per le sue uscite audaci, è costretto a prendere le distanze da un Movimento in cui, forse, ha finito di riconoscersi da tempo.

“Sono certo che a loro non interessava creare un progetto per vincere le elezioni, ai Cinque Stelle interessa solo eleggere qualche uscente e qualcuno che ha superato il secondo mandato”, rivela. I consiglieri comunali possono. Sono gli unici a cui è accordata una deroga rispetto al vincolo che ha stoppato e ferito il geometra di Caltanissetta, una vita in prima linea, leader indiscusso della vita del partito. Prima amato, oggi profondamente detestato. “Io non voglio rimanere coinvolto in una realtà fatta di accuse, livore e astio, dove persone che ritenevo vicine si sono totalmente squalificate con i loro comportamenti. Io devo coerenza prima di tutto a me stesso, quindi in quella direzione non ci torno più”.

Un primo, timido segnale d’addio s’era già consumato l’estate del 2021, quando Grillo e Conte per poco non arrivarono a separarsi. In quel caso Cancelleri disse senza peli sulla lingua di preferire l’avvocato del Popolo. Ma dopo la pace siglata a Marina di Bibbona anche per lui tornò il sereno. Poi se ne andò Di Maio, che assieme all’enfant prodige della politica nissena, in Sicilia, aveva costruito campagne elettorali esaltanti, culminate con due sconfitte onorevoli.

Cancelleri, che nel 2018 lascia Palermo per trasferirsi al Ministero (una decisione che gli costa parecchi insulti, fra cui quelli di Dino Giarrusso, altro fuoriuscito grillino), esaurisce il bonus per candidarsi alla Regione e a qualsiasi altra cosa. Così esce definitivamente di scena col governo Draghi, che Conte aveva contribuito a liquidare. Ma non si dà pace per la sopraggiunta emarginazione: “Non torno indietro - dice oggi - rispetto a un Movimento che non sa minimamente valorizzare le competenze che sono cresciute al proprio interno, che getta via come uno straccio vecchio persone che hanno contribuito a fondare e fare diventare grande e credibile quel gruppo”. Dannata riconoscenza.

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