(foto Ansa)

i nuovi vertici dem

Boccia si sente già capogruppo al Senato. Tra i deputati Pd piomba la questione di genere

Luca Roberto

L'ex ministro per gli Affari regionali chiude l'accordo con i lettiani: non si andrà allo scontro. A Montecitorio salgono le quotazioni di Provenzano, anche se il rischio è di essere commissariato da Schlein. Base riformista ancora indecisa sul da farsi

Francesco Boccia da qualche giorno ostenta una certa qual sicumera. Chiusasi l’assemblea nazionale del Pd che ha ufficialmente incoronato Elly Schlein come nuova segretaria, il senatore pugliese sembra voler passare all’incasso. Sa che molte delle partite che si apriranno all’interno del partito lo riguarderanno da vicino. Prima tra tutte: la nomina dei nuovi capigruppo alla Camera e al Senato.

L’uscente coordinatore degli Enti locali nella segreteria Letta la scorsa settimana ha partecipato a una riunione sullo stato di avanzamento del Pnrr. In quell’occasione si è lasciato scappare una battuta sul fatto che “a partire dalle prossime settimane il gruppo dei senatori avrà molto a cuore questi temi”. Quasi a voler confessare che la sua ascesa alla presidenza della pattuglia parlamentare è questione di ore. E del resto la notizia è che l’impasse che s’era prodotto a Palazzo Madama si è sbloccato quando lo stesso Boccia ha trovato un accordo con Marco Meloni, fedelissimo dell’ex segretario Enrico Letta. Che dei lettiani ha sempre fatto parte dell’ala dialogante, mentre dall’altro versante esponenti come Enrico Borghi minacciavano di mettere ai voti la nomina. Insomma di andare alla conta, provocando uno scontro frontale. Ipotesi che è venuta meno anche grazie all’impegno, preso dall’ex ministro degli Affari regionali, di redistribuire le vicepresidenze dei gruppi nei due rami del Parlamento

 

Ma per ogni nodo che si riesce nell’impresa di sciogliere, ecco che si para sulla strada di Schlein un altro grattacapo. Perché nella selezione per Montecitorio all’interno del partito si naviga molto più a vista. Il gruppo della Camera, in quanto a composizione, è più consistente di quello del Senato, ma con un peso diverso. Eppure il vero ostacolo per l’assegnazione dell’incarico potrebbe essere la coabitazione forzata con la stessa neosegretaria, intervenuta ieri per la prima volta nel question time posto alla premier Meloni sul salario minimo legale.  Molti all’interno del Pd, anche tra quelli che sarebbero tentati di fare il salto, temono che il capogruppo di Montecitorio sia se non commissariato quanto meno altamente vigilato, visto il presidio da vicino operato da Schlein. E non è un caso se nel debutto parlamentare da segretaria, durante l’informativa del ministro Piantedosi sulla strage di Cutro, la ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna abbia preferito non intervenire. Non lesinando però sulle migliorie, gli aggiustamenti, da apportare con penna rossa al discorso di Beppe Provenzano, poco prima che venisse letto in Aula. Proprio il vicesegretario uscente è quello con le quotazioni più alte. Ha esperienza, è una personalità di spicco, si confida possa fare un buon lavoro nella tenuta del gruppo stando all’opposizione. E però qualcuno quando echeggia il suo nome già mugugna. In particolare chi fa notare come la doppia nomina Boccia-Provenzano sia espressione unicamente della mozione Schlein. Non esattamente un segnale di distensione se l’obiettivo, come dichiarato durante l’Assemblea nazionale di domenica scorsa, è fare di tutto per tenere unito il partito. 

 

Ma c’è un di più. E riguarda il genere delle nomine. Perché come potrebbe essere letta l’ascesa di due uomini da coloro, come le ex capogruppo Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, già durante la segreteria Letta avevano denunciato il mancato rispetto delle quote rosa nelle posizioni apicali del partito? Sarebbe un segnale di rottura della nuova segretaria, sì. Ma non nel verso invocato da quella parte del Pd che trova sponde nella Conferenza delle donne democratiche. E che grazie a Schlein pensava si sarebbe inaugurata una stagione in cui la questione femminile sarebbe stata ancor più centrale, sin dalle scelte più simboliche come appunto i nuovi capigruppo.

 

L’ulteriore curiosità, infine, riguarda cosa deciderà di fare Base riformista. L’incastro “ripartizione di correnti più questione di genere” farebbe propendere per l’ascesa, alla Camera, della toscana  Simona Bonafè. Che però oramai viene vista più come una referente di Stefano Bonaccini che non di Lorenzo Guerini, con cui in ogni caso i rapporti rimangono ottimi. Anche sulla postura da tenere nei confronti di Schlein, i “lottiani” (nel senso di vicini all’ex ministro Luca Lotti) non sono così convinti che convenga evitare lo scontro, mantenendo un placido attendismo, come chiede a gran voce lo stesso Bonaccini. Fatto sta che anche l’offerta sulla presidenza dei deputati potrebbe essere declinata: di modo da spostare tutte le fiches sulla costruzione della nuova segreteria. Dove Base riformista spera di ritagliarsi uno spazio non così residuale.

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