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Il ritratto

Le acrobazie del Mahatma Tajani. Difeso da Meloni, amato dal Colle, soffre in Forza Italia

Carmelo Caruso

Il suo candidato nel Lazio viene sconfitto, il partito lo vuole ridimensionare come coordinatore. Il dramma del ministro degli Esteri. È la debolezza della stabilità

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 Si candida al Nobel per la Pace 2023. Lo chiamano Antonio il “portaordini”, Tajani il “nunzio degli Interni”, il “povero Tonio”. Occupa ben tre sedi diplomatiche. E’ ministro degli Esteri del governo Meloni, ambasciatore del Quirinale presso Palazzo Chigi, diplomatico che gestisce i rapporti tra Palazzo Chigi e la santa sede di Arcore. Da ventiquattro  ore deve affrontare una grande crisi internazionale lungo il canale pontino. Il suo candidato alle regionali del Lazio è stato “stracciato” dal candidato di Claudio Fazzone, arcinemico di Tajani. In attesa del titolo di  Mahatma, Tajani le sta “prendendo” da Meloni, che gli rimprovera le parole di Berlusconi su Zelensky, ma le prende anche da Berlusconi, che gli rimprovera di essere troppo vicino a Meloni. E’ il messaggero, il Mercurio che viene bastonato, ma capace di sorridere e dire: “So’ contento”.


Per il Colle, per gli italiani, e per l’Europa, è il ministro più affidabile, per Forza Italia, la parte non tajanea, è il capo delegazione delle “angurie”. Le angurie sarebbero i ministri di Forza Italia, che secondo l’altra parte di Forza Italia, si sono “melonizzati”. Tajani è la prova di quanto può essere crudele la sorte. È la debolezza della stabilità. Coordinatore nazionale di FI, ha come feudo elettorale il Lazio. Bene, cosa accade? Il signor Fazzone, forzaitaliota che stava per essere cacciato e antagonista interno del “povero Tonio”, riesce a fare eleggere Cosmo Mitrano, consigliere regionale con oltre 12.500 preferenze. Il candidato di Tajani era Simone Foglio e si è fermato a circa 3 mila preferenze. A Roma, Forza Italia non è riuscita a eleggere nessun consigliere.

 

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Il risultato finale di Forza Italia nel Lazio è 8,43 per cento e un buon “cinque per cento” si deve a Fazzone. Si racconta, e chi lo racconta è informato, che Meloni abbia deciso il ritiro di costituzione di parte civile nel processo Ruby ter, da parte della presidenza del Consiglio, con lo scopo di “rafforzare” Tajani. Avrebbe insomma dato a Berlusconi la prova che il “povero Tonio” si batte per il Cav.

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Nel partito dove la maggioranza è ormai “ronzulliana”, vicina a Licia Ronzulli, si parla della necessità di “affiancare” il coordinatore Tajani che cumula altri due incarichi (ministro, vicepremier). Si arriverebbe lentamente a un direttorio per aree geografiche composto da Ronzulli, al nord, Tajani per il centro, Occhiuto per il sud e Giorgio Mulé per le isole. Che colpa ne ha il povero Tonio se il suo destino è stare in mezzo? Alla Farnesina, quando si congeda, gli scatta il tic e fa il saluto militare: “Aaaa-ttenti!”. A Palazzo Chigi, dove ha gli uffici da vicepremier, ha chiamato il simpaticissimo Sestino Giacomoni, l’ex calciatore Beppe Incocciati, già stella del Fiuggi calcio, l’ex comandante della GdF, Giorgio Toschi, e Pupi Avati (a titolo gratuito). E’ la Tajani football club, la nazionale degli esclusi.

 

Sono stati nominati suoi consiglieri Emily Rini, coordinatrice di FI in Valle d’Aosta, Carmine De Angelis, sindaco di Chiusano di San Domenico (2.082 abitanti in provincia di Avellino) e l’ex deputata, non rieletta, Maria Spena. Come si può ancora accusare il governo Meloni di non effettuare i salvataggi in mare? Il “povero Tonio” è un servitore della patria e il “nunzio” di tre “leaderoni”. Sergio Mattarella lo sostiene nella sua incessante operazione diplomatica di “sutura” con Macron. Meloni gli lascerebbe le chiavi di Chigi. Berlusconi ogni qual volta deve mandare un messaggio a Meloni chiama Tajani: “Fai  sapere a…”. Lui, che di comunicazione se ne intende, era il capo del politico del Giornale, ha chiamato l’ex inviato di Repubblica, Vincenzo Nigro, a fargli da portavoce e ha nominato Riccardo Guariglia come segretario generale al posto di Ettore Sequi.

 

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Vive sulla sua carne la fatica del diplomatico. Per servire Meloni è meno amato da Berlusconi, ma non potrà mai lasciare Berlusconi. Preferirebbe fare la fine dei samurai. Nel partito i suoi cari conforti sono Gianni Letta e Paolo Barelli, ma il nuotatore Barelli, forse fiutata l’acqua, non si vede più alla Camera (era un grande motivatore, salutava sempre con “Aho! ‘Amo vinto! ‘Amo vinto”).  Come spesso avviene, si veda Fontana in Lombardia, figure come Tajani si rivelano più longevi, e decisive, di quanto si immagini.

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Si muove di concerto con Claudio Descalzi, ad di Eni, ed è il passaporto della Meloni per arrivare a Manfred Weber e dunque ai popolari in Europa, ma è soprattutto il ministro che nomina gli ambasciatori. Deve presto sostituire, a Tripoli, l’ambasciatore Giuseppe Buccino, che dopo otto anni lascia (sembra destinato a occupare una sede importante in oriente). Un altro in scadenza è Andrea Romussi, ambasciatore in Burkina Faso, paese incrocio per regolare l’immigrazione. A Teheran, si congeda Giuseppe Perrone, che in precedenza aveva gestito il rilascio di Alessia Piperno. In Somalia, si sposta anche Alberto Vecchi. E poi c’è Fazzone! Sequestrato dal senso di responsabilità, tormentato dalla gratitudine, questo è il dramma del “povero Tonio”, il cristiano che ogni sera si rivolge così: “Silvio, di’ soltanto una parola e io sarò salvato”.

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