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Verso i gazebo con mestizia

La crisi del Pd vista da Beppe Fioroni: "Un partito senza anima e passione"

Marianna Rizzini

"Sento parlare di partito leggero e partito pesante, ma il problema non è quello: il problema è che un partito deve dare speranza ai cittadini italiani", dice il cofondatore del Partito democratico. Andrà a votare? "Penso di sì"

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Beppe Fioroni – ex ministro dell'Istruzione nel governo Prodi, ex consigliere al ministero della Difesa nel governo Draghi, a lungo parlamentare, già sindaco di Viterbo – il Pd l'ha visto nascere, e da cofondatore. Solo che ora questo congresso dem gli fa scuotere la testa: andare a votare alle primarie, sì o no? “Penso di sì”, dice Fioroni, che però prima vuole verificare la presenza di alcune condizioni che possano rendere il voto qualcosa di più di un rituale stanco.

Com'è il congresso Pd visto da un padre del Pd, insomma, gli si chiede? E perché anche chi il Pd lo ha tenuto in braccio da infante ora fatica a recarsi ai gazebo? “Credo che l'elemento respingente abbia a che fare con la perdita dello spirito iniziale. Per non dire della surrealtà del 'ma anche' sullo statuto: ora abbiamo la carta del 2007 ma anche quella del 2023. Singolare situazione. Anche perché a mio avviso la carta del 2007 rappresentava un punto di arrivo, una sintesi ambiziosa. Ecco, ora mi pare che l'ambizione si sia ridotta di molto”. Fioroni si riferisce al cosiddetto “dibattito costituente” che ha fatto sbadigliare, se non sbuffare, attivisti ed elettori. “Il Pd ha bisogno di un'identità forte e chiara che aiuti il sorgere e risorgere di un senso di appartenenza. Bisognerebbe evitare di arroccarsi attorno all'elenco dei problemi e concentrarsi piuttosto sulla visione del mondo che si vuole avere, altrimenti si finisce per abbassare l'asticella e trasformare il fare politica in politica 'con sotto il vestito niente'. Sento parlare di partito leggero e partito pesante, ma il problema non è quello: il problema è che un partito deve avere anima e passione, e dare speranza ai cittadini italiani. La crisi del Pd, oggi, deriva dalla mancanza di tutto questo”.

Spesso, in questi anni, si è attribuita questa o quella colpa alle persone al vertice del Pd. “Abbiamo cambiato otto segretari, ma il punto è che il leader è importante, sì, ma non sufficiente a risolvere il problema. Il dramma di questo congresso sta tutto qui: prima si crede in qualcosa, poi si sceglie qualcuno. E poi, quest'ossessione per i Cinque Stelle. Ricordo che il Pd è nato dalla fusione di Ds e Margherita, due grandi partiti dalla lunga tradizione. Mai avrei pensato che si sarebbe arrivati a correre il rischio di diventare gregari di Giuseppe Conte”. Ossessione della vittoria, della non sconfitta, dopo la sconfitta nelle urne? “Ricordo che l'importante è vincere ma anche e soprattutto governare. E con credibilità, sapendo con chi ci si allea e non navigando alla deriva – chi viene-viene? No, grazie. Ultimo ma non ultimo: spiace vedere il sistematico allontanamento dai valori da cui proveniamo: io non credo che un Pd senza la componente popolare sia più innovativo e moderno. Tutt'altro”.

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