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Nella maggioranza

Donzelli alla sbarra: il fastidio di Forza Italia per la linea meloniana

Valerio Valentini

"Mulè con le sue interviste si è dimostrato non terzo per cui saremmo pronti a chiederne la ricusazione", fanno sapere da Fratelli d'Italia, che chiede a Fontana garanzie sul Giurì. 
Tutte le trame (e le motivazioni) dietro la scelta del presidente: il grillino Costa

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A offrirle, le scuse, non ci pensano neppure. “E sì che sarebbe il modo migliore per chiuderla qui”, sussurra nella Lega. Le scuse, loro, semmai le pretendono. Ai più refrattari all’obbedienza, e cioè a quelli di Forza Italia, hanno mandato perfino dispacci ultimativi: “Smettetela di accoltellarci alle spalle”. E forse è per questo che qualcuno dei patrioti aveva suggerito la soluzione: “Diamola a Giorgio Mulè, la presidenza del Gran Giurì d’Onore, così per quindici giorni sarà obbligato al silenzio”. Macché. Lo scalpo, si pretende. E non per capriccio di Giovanni Donzelli, né per libidine di Andrea Delmastro: deve essere senz’altro per amore sconfinato e possente per la Patria che i vertici di FdI hanno chiesto intercessione a Lorenzo Fontana, il quale di tutta questa manfrina ne farebbe volentieri a meno, affinché la presidenza del Gran Giurì d’Onore – questo tribunale del situazionismo parlamentare che potrà al massimo potrà stabilire se è stato davvero leso l’onore dei tre deputati del Pd mascariati in Aula dal fedelissimo di Giorgia Meloni – venisse assegnata al grillino Sergio Costa.

 

“Perché Mulè, con le sue interviste, si è dimostrato non terzo, per cui saremmo pronti a chiederne la ricusazione”, hanno argomentato i notabili della Fiamma. Non senza prima premurarsi, però, di contattare anche gli altri tre giurati della corte in quota di maggioranza: che nessuno faccia scherzi. D’altronde, la linea, i deputati del centrodestra se la sono visti imporre da un ministro di FdI, a cui avevano osato chiedere come si potesse non far dimettere Delmastro, se il ministro Nordio avesse chiarito che i documenti del Dap non erano divulgabili: “Facile, nessuno di noi le chiede, le dimissioni, e Delmastro non le dà”. Un po’ come il Marchese del Grillo che spiegava ad Aronne Piperno la procedura con cui non intendeva pagarlo per il lavoro svolto: “Io i sordi nun li caccio, e tu nun li becchi”. E quando quelli hanno mugugnato, il ministro ha insistito: “Piuttosto, se non mettete a tacere quelli che ci attaccano, non venite poi a chiederci emendamenti sul Milleproroghe”. Che insomma il Parlamento vuole la pace e la calma laboriosa: ed è meglio per tutti che gliela si dia con l’amore anziché con la forza.

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