Antonio Tajani e Giovanni Donzelli (Ansa)

Nella maggioranza

Donzelli alla sbarra: il fastidio di Forza Italia per la linea meloniana

Valerio Valentini

"Mulè con le sue interviste si è dimostrato non terzo per cui saremmo pronti a chiederne la ricusazione", fanno sapere da Fratelli d'Italia, che chiede a Fontana garanzie sul Giurì. 
Tutte le trame (e le motivazioni) dietro la scelta del presidente: il grillino Costa

A offrirle, le scuse, non ci pensano neppure. “E sì che sarebbe il modo migliore per chiuderla qui”, sussurra nella Lega. Le scuse, loro, semmai le pretendono. Ai più refrattari all’obbedienza, e cioè a quelli di Forza Italia, hanno mandato perfino dispacci ultimativi: “Smettetela di accoltellarci alle spalle”. E forse è per questo che qualcuno dei patrioti aveva suggerito la soluzione: “Diamola a Giorgio Mulè, la presidenza del Gran Giurì d’Onore, così per quindici giorni sarà obbligato al silenzio”. Macché. Lo scalpo, si pretende. E non per capriccio di Giovanni Donzelli, né per libidine di Andrea Delmastro: deve essere senz’altro per amore sconfinato e possente per la Patria che i vertici di FdI hanno chiesto intercessione a Lorenzo Fontana, il quale di tutta questa manfrina ne farebbe volentieri a meno, affinché la presidenza del Gran Giurì d’Onore – questo tribunale del situazionismo parlamentare che potrà al massimo potrà stabilire se è stato davvero leso l’onore dei tre deputati del Pd mascariati in Aula dal fedelissimo di Giorgia Meloni – venisse assegnata al grillino Sergio Costa.

 

“Perché Mulè, con le sue interviste, si è dimostrato non terzo, per cui saremmo pronti a chiederne la ricusazione”, hanno argomentato i notabili della Fiamma. Non senza prima premurarsi, però, di contattare anche gli altri tre giurati della corte in quota di maggioranza: che nessuno faccia scherzi. D’altronde, la linea, i deputati del centrodestra se la sono visti imporre da un ministro di FdI, a cui avevano osato chiedere come si potesse non far dimettere Delmastro, se il ministro Nordio avesse chiarito che i documenti del Dap non erano divulgabili: “Facile, nessuno di noi le chiede, le dimissioni, e Delmastro non le dà”. Un po’ come il Marchese del Grillo che spiegava ad Aronne Piperno la procedura con cui non intendeva pagarlo per il lavoro svolto: “Io i sordi nun li caccio, e tu nun li becchi”. E quando quelli hanno mugugnato, il ministro ha insistito: “Piuttosto, se non mettete a tacere quelli che ci attaccano, non venite poi a chiederci emendamenti sul Milleproroghe”. Che insomma il Parlamento vuole la pace e la calma laboriosa: ed è meglio per tutti che gliela si dia con l’amore anziché con la forza.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.