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MENO GIORGIA, PIÙ MELONI

Perché è ora che Meloni dica addio alla Giorgia leader d'opposizione (vale pure su Bankitalia)

Claudio Cerasa

Ipocrisie sul Pos. Pazzie sulle pensioni. Tafazzismo sui migranti. Ecco tutte le pagine dell’agenda che la premier ha dimenticato di mostrare

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Guardatemi, vi prego. Sono sempre io. Sono sempre la stessa. Sono Giorgia, donna, madre, italiana e cristiana, e anche oggi, oggi che mi trovo a fare altro, oggi che mi trovo a guidare l’Italia, sono sempre io: sempre la stessa, sempre coerente, sempre quella di una volta. Sono sempre io. Sono la vostra Giorgia. Ciò che rimarrà della scelta comunicativa di Giorgia Meloni di mostrare sui canali social alcune pagine del proprio blocchettino di appunti è qualcosa che ha poco a che fare con i contenuti dell’agenda, agenda Meloni oh yes, ed è qualcosa che ha invece molto a che fare con un’esigenza che periodicamente attraversa i pensieri della presidente del Consiglio: ricordare, a se stessa e ai propri follower, che Giorgia Meloni è sempre la stessa. Guardatemi, vi prego, guardatemi negli occhi e non fatevi venire dubbi. Sono sempre io. Sono sempre la stessa. E vedrete che continuerò a riuscire nel miracolo di essere contemporaneamente leader dell’opposizione, opposizione al sistema, e capo del governo, che cerca di cambiare il sistema. E’ naturale che la Meloni presidente del Consiglio cerchi di convincere, prima di tutto se stessa, che la Giorgia capo dell’opposizione non sia diversa da quella che sta a Palazzo Chigi – e ogni tanto durante le conferenze stampa, quando Meloni risponde ai giornalisti come se fosse ancora capo dell’opposizione e non capo del governo, il tentativo lo si apprezza ancora meglio. Ma è altrettanto naturale, e doveroso, suggerire a Meloni di iniziare a condividere con i suoi follower alcune pagine che non possono non essere presenti nell’agenda Meloni. Pagine preziose, cruciali, nelle quali risulterà chiaro quanto, nella quotidianità dell’azione di governo, la presidente del Consiglio abbia iniziato a capire che per guidare l’Italia serve un po’ meno di propagandismo e un po’ più di pragmatismo, un po’ meno di populismo e un po’ più di europeismo, un po’ meno di protezionismo e un po’ più di realismo. Serve, in altre parole, un po’ meno Giorgia e un po’ più Meloni.

 

Se ne è accorta ieri, probabilmente, la premier, quando qualcuno al ministero dell’Economia deve averle spiegato che il dato record delle entrate tributarie registrate dall’Italia a ottobre, 416 miliardi di euro, più 10,2 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, dipende sì dall’inflazione, più aumentano i prezzi e più aumenta per lo stato anche l’incasso sull’Iva, ma dipende anche dalla solidità di un sistema che oggi il governo, tra condoni, aumenti del tetto del contante, politica anti Pos, sembra avere intenzione di smantellare: fatturazione elettronica, scontrini elettronici e lotta tecnologica all’evasione fiscale. Serve un po’ meno Giorgia e un po’ più  Meloni sul fisco, ma il programma è molto vasto come direbbe De Gaulle, ma servirà un po’ meno Giorgia e un po’ più Meloni su altre partite importanti. Giorgia non lo può ammettere, forse Meloni sì, ma l’unica soluzione che avrebbe la destra di governo per evitare che l’Italia continui a essere sull’immigrazione quello che è oggi, un paese che essendo quello di primo approdo è costretto a esaminare le domande d’asilo dei migranti che arrivano sul suo territorio, è isolare i propri amici sovranisti in Europa, al Consiglio europeo, e attivarsi al Parlamento europeo per fare quello che i sovranisti hanno sempre evitato e boicottato, ovvero provare a cambiare la riforma di Dublino, che regola i comportamenti degli stati di fronte ai dossier legati ai diritti di asilo. Giorgia non lo può ammettere, forse Meloni sì, ma l’unica soluzione che avrebbe la destra di governo per rendere sostenibile le sue politiche sul welfare, lato pensioni in particolare, è trovare un modo per avere più immigrati regolari, perché solo avendo più immigrati regolari che pagano le tasse sarà possibile in futuro non scaricare il costo delle pensioni sempre sulla stessa platea – gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps. 

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Giorgia non lo può ammettere, forse Meloni sì, ma l’unico modo che ha l’Italia per tenere a bada, nei prossimi anni, il debito pubblico, è quello di scommettere sulle politiche pro crescita, a parità di deficit più un paese cresce e più il debito si abbassa, e per farlo però Meloni dovrebbe fare una cosa considerata inaccettabile da Giorgia: offrire alle aziende italiane, che vivono di esportazione, più strumenti non per proteggersi dalla globalizzazione ma per proteggersi dal protezionismo. Alla premier serve un po’ meno Giorgia e un po’ più Meloni non solo per questioni di gravitas ma anche perché, a 45 giorni dal giuramento di governo, dovrebbe aver capito quanto il populismo rischi di essere contro il popolo, quanto il sovranismo rischi di compromettere la sovranità di un paese e quanto il nazionalismo al fondo sia contro l’interesse nazionale (ieri, a proposito di gravitas, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, ha risposto alle critiche di Bankitalia sulla manovra provando a delegittimare Bankitalia, accusandola di essere uno strumento nelle mani delle banche private). Più Meloni, meno Giorgia. Il futuro dell’agenda Italia, per così dire, passa anche da qui.

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