dilemma sindacale

Sciopero o no? La manovra di Meloni spiazza la Cgil, che si riunisce per elaborare una risposta

Nunzia Penelope

Andare in piazza col Pd contro il governo, o salvaguardare la propria autonomia mettendo in campo un altro tipo di protesta. Ma soprattutto: su cosa concentrare la mobilitazione, visto che sui temi chiave, taglio del cuneo fiscale e pensioni, il governo ha fatto quello che il sindacato chiedeva?

Scioperare o non scioperare, questo è il problema. Andare in piazza col Pd a dicembre contro il governo, o salvaguardare la propria autonomia mettendo in campo un altro tipo di protesta sulla manovra. Ma soprattutto: su cosa concentrare la protesta, visto che sui due temi chiave, taglio del cuneo fiscale e pensioni, il governo Meloni ha fatto quello che il sindacato chiedeva? 

 

È quasi amletico il dubbio che serpeggia in Cgil nel post legge di Bilancio. Perfino il consueto commento sulla legge finanziaria è stato rinviato: mentre dalla Cisl, subito dopo la conferenza stampa  di lunedì mattina della premier, è uscita una dichiarazione di apprezzamento firmata dal segretario generale Luigi Sbarra, da Corso Italia per ben 48 ore è arrivato un assoluto silenzio. Solo mercoledì sera si è riunita la segreteria confederale per una prima valutazione, mentre per sabato Maurizio Landini ha convocato i segretari generali di tutte le strutture della Cgil, per decidere assieme come rispondere al governo.

Un qualche tipo di mobilitazione, comunque, viene dato per scontato: si tratta di decidere le forme, i tempi, le motivazioni. Tenendo conto di alcuni problemi. Il primo è il rapporto con la Cisl: uno strappo si era già consumato esattamente un anno fa, per lo sciopero della Cgil insieme alla Uil contro la manovra del governo Draghi; oggi un secondo strappo sarebbe complicato da rimediare, forse impossibile.
Il secondo problema sta nella tempestiva convocazione di una manifestazione contro il governo, annunciata dal segretario del Pd Enrico Letta per il 17 dicembre. Mossa che, in pratica, blocca l’agenda della Cgil: difficilmente potrà indire un’iniziativa nello stesso periodo. Ma se viene escluso, in nome dell’autonomia del sindacato, che Landini possa convergere nella piazza del Pd, altrettanto da escludere è che la Cgil possa farsi scavalcare dal Pd sui temi sociali.

 

E qui si arriva al terzo problema: la manovra, in realtà, non contiene nulla di troppo evidentemente negativo contro il mondo del lavoro. Sul cuneo fiscale il governo è andato incontro alle richieste di Cgil, Cisl e Uil, destinando l’intero taglio dei contributi alle buste paga, a costo di scontentare la Confindustria (come mostrano le critiche di Carlo Bonomi alla manovra). Idem sulle pensioni, lanciando dal 1° gennaio Quota 103 che allarga la platea dei beneficiari rispetto alla Quota 102 in scadenza. La legge di bilancio, nel complesso, forse non può dirsi un pugno in faccia ma, osserva un sindacalista, contiene comunque una lunga sommatoria di “schiaffi” che lasciano ugualmente i lividi.

Uno schiaffo è considerato, per esempio, il ripristino dei voucher, strumento così odiato che la Cgil, in epoca Susanna Camusso, arrivò fino a un referendum per abolirli. Ma è uno schiaffo anche la cifra che entrerà nelle buste paga col taglio del cuneo: se a Draghi era stata rimproverata come “mancetta” l’una tantum da 200 euro contro il caro bollette, qui ci si aggira su cifre in certi casi inferiori. Vero che le risorse a disposizione erano e restano modeste, ma – è l’obiezione – quelle necessarie a finanziare la flat tax fino a 85 mila euro si sono trovate: ed è un altro schiaffo a coloro che pagano l’aliquota del 40 per cento, cioè i lavoratori dipendenti. Proprio sul complesso delle misure relative al fisco si concentrano infatti le maggiori critiche della Cgil, che ritiene ci siano nella manovra troppi regali agli evasori.

 

Tirando le somme: se è difficile individuare un vulnus specifico, molti “schiaffi” messi in fila costituiscono una base a cui la Cgil potrebbe appoggiarsi per respingere l’intera filosofia della legge di Bilancio, dando avvio a un percorso di mobilitazione a largo raggio, che includa anche, per esempio, la mancanza di qualunque accenno di politica industriale nella manovra, o la precarietà delle misure sull’energia. D’altra parte Landini, fin dall’inizio, aveva avvertito che l’esecutivo sarebbe stato giudicato per le azioni, non per l’ideologia. Una posizione che aveva ricevuto diverse critiche, per una sua presunta equidistanza rispetto alla destra, ma il segretario aveva tenuto duro. Ora, con il varo della manovra, gli elementi per esprimersi nel merito ci sono. 
Nunzia Penelope