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"Fozza Lindner". Così Giorgetti costruisce una diplomazia parallela con Berlino, e si prepara alla svolta sul Mes

Valerio Valentini

Mentre Meloni e Macron litigavano sui migranti, giovedì i titolari delle Finanze di Italia e Germania si sono sentiti. "Non possiamo permetterci di avere Berlino ostile", dice il leghista. Che ora valuta di ingraziarsi il collega Lindner sostenendo un candidato congiunto per la presidenza del Mes, sapendo che comunque il trattato andrà ratificato a breve

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E’ un po’ una diplomazia parallela. E certo a dirlo ora, ora che la trama principale, quella che lega Roma a Parigi, s’è sbregata col pasticcio sui migranti, pare quasi irridente il suo “ve l’avevo detto”. Ma il segnale era stato lanciato in tempi non sospetti. Perché se Giancarlo Giorgetti aveva scelto Berlino, come suo primo viaggio  da ministro dell’Economia, era proprio perché temeva un eccessivo schiacciamento del  governo su quello francese. E un po’ l’operazione simpatia col suo omologo a Berlino, Christian Lindner, deve essere riuscita, se ancora giovedì pomeriggio, nel bel mezzo della crisi tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron per interposti ministri dell’Interno, i titolari delle Finanze italiano e tedesco si sono sentiti al telefono, con toni cordiali e distesi. Del resto, c’è da parlare di Mes.

Non è nata per caso, questa sintonia. “Perché, specie sulle questioni finanziarie, non possiamo permetterci una Germania ostile”, è la convinzione di Giorgetti. Soprattutto perché il tedesco in questione, il suo omologo, è un liberale che, quando vuole, da teorico fedele del rigorismo fiscale, sa essere un brutto cliente per l’Italia. Del resto, tribolato com’è nella sua convivenza al governo con Verdi e Spd, con la Cdu che lo accusa di mollezza, Lindner è inevitabilmente tentato di mostrarsi inflessibile sui dossier europei. E a questa pulsione, è convinto il ministro leghista, non va fornito alcun alibi. Ecco allora la scelta di ribadire l’approccio “cauto e responsabile” sulla Nadef, ecco l’attenzione nel misurare le parole sulla trattativa per la revisione del Patto di stabilità.

Che i due si siano piaciuti, nel loro primo incontro a Berlino del 2 novembre scorso, lo si era capito subito, se è vero che anche la misura sui fringe benefit – fino a 3 mila euro esentasse che i datori possono destinare ai lavoratori entro fine anno – Giorgetti ha proposto di inserirla nel dl Aiuti quater all’ultimo minuto proprio dopo essersela fatta spiegare da Lindner: “Mi ha detto che loro l’hanno pensata per mitigare gli effetti dell’inflazione, e gli ho risposto: ‘Bene, ve la copiamo allora’”. Hanno parlato anche d’altro, però: e l’hanno fatto in un discreto inglese, a dispetto delle critiche che al ministro di Cazzago sono arrivate per il suo scarso poliglottismo. Sulla necessità di ridurre il debito pubblico,  Lindner è stato quanto mai assertivo, con Giorgetti.

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E, tra gli altri, i due hanno poi discusso del tema più delicato per gli equilibri  del centrodestra italiano: il Mes. E non solo perché il pronunciamento della Corte costituzionale di Karlsruhe, previsto in tempi  brevi, pare abbia esito scontato, e dunque sperare – come pure Giorgetti furbescamente ripete, in queste ore – che siano i giudici costituzionali tedeschi a levare d’impaccio il governo italiano è alquanto velleitario. La ratifica del trattato, a Via XX Settembre, la danno tutti per scontata, whatever it takes a livello politico nella maggioranza. C’è però un’altra faccenda, legata al Mes, che sta a cuore a Berlino, e riguarda la designazione del nuovo direttore esecutivo. Lo stallo per eleggere il successore di Klaus Regling, che si protrae ormai da mesi, sta diventando un problema dopo che il 7 ottobre il mandato dell’economista tedesco è scaduto. I candidati più accreditati erano due: il portoghese João Leão e il lussemburghese Pierre Gramegna, in una sfida che s’è andata subito connotando come un conflitto tra i paesi del sud, guidati dalla Francia, a favore del primo, e  il fronte dei frugali coordinati dalla Germania. E siccome sia Parigi sia Berlino detengono il diritto di veto – nel board del Mes si procede con voto ponderato alla quota di capitale dei vari paesi, e ognuno dei due ha più del 20 per cento sufficiente a bloccare tutto – la partita s’è risolta nel pantano. L’Italia, che con il 18 per cento è il terzo azionista del Mes, inizialmente ha avanzato il nome di Marco Buti e  poi si schierata a favore di Leão, seppure preliminarmente. Ora, ed è questa la novità, Giorgetti sta  valutando l’ipotesi di cambiare squadra: assecondare, cioè, la manovra di Lindner per chiudere a breve in proprio favore – con lo stesso Gramegna, o con un nuovo candidato – la faccenda. Perché lo sfilarsi di Roma dalla pattuglia dei mediterranei, sono convinti a Berlino, indurrebbe poi anche Bercy a desistere.

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Per l’Italia la logica sarebbe invece più banale: essendo proprio la Germania il giudice più severo e temibile sui dossier finanziari, ingraziarsela con un favore sul rodeo del Mes potrebbe essere un buon investimento politico. Tanto più per un governo che cerca un accreditamento a Bruxelles. Significherebbe, certo, indispettire la Francia. Ma del resto che non possa essere, quella di Macron, l’unica benedizione con cui presentarsi in Europa, ché altrimenti si finirebbe poi col dover assecondare sempre e comunque Parigi, è una convinzione radicata in Giorgetti. E i fatti di queste ore stanno dimostrando quanto rischioso sia, per Meloni, dover dipendere dalla benevolenza di un partner volubile e tatticamente spregiudicato come il capo dell’Eliseo. Così, mentre tra Roma e Parigi tutto precipitava per via di un barcone, giovedì pomeriggio il telefono di Giorgetti a Via XX Settembre ha squillato. E la voce di Lindner è risuonata come una voce amica. 
 

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