Foto di Mauro Scrobogna, via LaPresse 

la discussione sui nomi

Retorica a destra, riflessi condizionati a sinistra: il dibattito sul merito

Guglielmo Barone

La solita risposta alla disuguaglianza è la redistribuzione, ma un altro tipo di risposta è invece quella di accrescere la mobilità sociale e gli ambiti su cui intervenire sono due: la scuola e la concorrenza

Mentre la guerra in Ucraina non accenna a concludersi, l’inflazione corre e una nuova recessione è alle porte, il dibattito politico italiano non trova di meglio che imbizzarrirsi sulla ridenominazione del ministero dell’Istruzione in “ministero dell’Istruzione e del Merito”. Un dibattito gratuito e surreale che svela però molto di alcuni attori della scena politica. L’accostamento tra istruzione e merito ha fatto scattare, da sinistra, un riflesso condizionato che ha bollato l’iniziativa come classista ed elitaria. E così un’operazione di marketing politico di minimo cabotaggio ha finito involontariamente per mostrare dei nervi scoperti. Alcuni fatti aiutano a mettere ordine.

 

Tra i paesi avanzati, l’Italia mostra un livello di disuguaglianza dei redditi piuttosto elevato, specie se raffrontato con lo scarso dinamismo della nostra economia. Si tratta cioè di una disuguaglianza che non deriva tanto dai guadagni dei migliori quanto da rendite di posizione. La classica risposta di sinistra alla disuguaglianza è la redistribuzione, una ricetta che però in un paese che ha smesso di crescere da quasi 30 anni suona piuttosto vuota. Un altro tipo di risposta, molto meno gettonata, è accrescere la mobilità sociale, fare cioè sì che lo status socioeconomico dei figli dipenda sempre meno da quello dei genitori. Una società mobile è una società che garantisce pari opportunità di partenza, come vuole la Costituzione, ma che poi premia il merito in modo tale che le gerarchie socioeconomiche possano cambiare nel tempo.

 

Una società mobile non è solo più equa ma è anche più efficiente. Infatti, se l’ascesa sociale ed economica è molto difficile, non si hanno i giusti incentivi all’investimento in capitale umano e si creano sprechi nell’allocazione delle risorse: individui particolarmente dotati, ma privi del giusto background familiare, tendono a occupare posizioni relativamente basse per le quali i loro talento è sprecato, mentre individui meritevoli solo di essere nati nelle famiglie giuste si trovano ai vertici della piramide. Ebbene, purtroppo anche da questo punto di vista l’Italia è, tra i paesi avanzati, uno di quelli messi peggio. La mobilità è bassa e, all’interno del paese, è inferiore nel Mezzogiorno, proprio dove più che altrove sarebbe necessario dare ai giovani talenti uno spazio che altrimenti trovano migrando. I detrattori del merito dovrebbero allora rispondere alla seguente domanda: la mobilità sociale è un valore?

 

È cioè auspicabile che chi nasce indietro possa, da adulto, trovarsi avanti, e che – cosa meno scontata – chi nasce avanti possa indietreggiare? Se sì, non si può allora essere contrari alla meritocrazia, che della mobilità è il lievito. Se no, si stanno solo difendendo i privilegi attuali. Tertium non datur, come si dice.

 

Per premiare il merito e aumentare la mobilità occorre intervenire in due principali ambiti. Il primo riguarda la scuola, non a caso epicentro della querelle. La lista delle misure auspicabili è nota da tempo e va dall’accrescimento delle competenze degli studenti, specie nel Mezzogiorno, all’aumento delle ore di scuola, sia su base giornaliera (tempo pieno) sia su base annuale (meno vacanze estive). Per arrivare al convitato di pietra: la valutazione degli insegnanti e la differenziazione dei loro salari. Tutte riforme tanto opportune quanto corporativamente avversate e finora impossibili da realizzare, con consenso bipartisan.

 

Il secondo ha a che fare con la concorrenza. Come noto, mercati ben funzionanti, con un elevato tenore concorrenziale, premiano il merito dei migliori imprenditori, puniscono i peggiori, aumentano il benessere dei consumatori. Su questo punto, il dibattito mette a nudo le contraddizioni della maggioranza, che sventola il vessillo del merito ma è molto poco favorevole al mercato. Basti pensare a balneari e tassisti, categorie le cui rendite sono state storicamente difese dalla destra italiana.

 

Insomma, la politica fatica a maneggiare il concetto di meritocrazia. E c’è il sospetto che, dietro, vi sia altrettanta difficoltà della società tutta, molto più a suo agio con la “iolomeritocrazia”, originale dottrina di meritocrazia à la carte secondo la quale il merito va bene solo se ci conviene. 

 

Guglielmo Barone
Università di Bologna

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