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il commento

Meloni e i ministri: la maggioranza è minacciosa, il governo no

Claudio Cerasa

Metterci la faccia a costo di perderla. Perché avere un esecutivo ultra politico è una buona notizia 

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Perdono gli anti europeisti, perdono i nostalgici del sovranismo, perdono i follower del nazionalismo, perdono i professionisti dello sfascismo, vincono tutti coloro che attendevano il governo Meloni non con fiducia, non con entusiasmo, ma con la semplice speranza che il nuovo esecutivo italiano fosse qualcosa di diverso da un laboratorio di puro estremismo politico.

La nascita del governo Meloni offre agli osservatori numerosi elementi di riflessione che si possono sintetizzare concentrandosi su due punti importanti. Il primo riguarda l’identità del nuovo governo e per molte ragioni il governo Meloni sarà il governo delle prime volte. Per la prima volta, l’Italia avrà una donna come presidente del Consiglio. Per la prima volta, l’Italia avrà un presidente del Consiglio con un passato nell’estrema destra. Per la prima volta, l’Italia avrà un governo formato in prevalenza da forze politiche atlantiste ma non europeiste. Per la prima volta, l’Italia avrà un governo composto da due forze politiche che non faticano a considerarsi sovraniste. Per la prima volta, l’Italia avrà un governo di centrodestra non guidato da Silvio Berlusconi. Per la prima volta, l’Ue avrà un governo guidato da due partiti alleati con movimenti di estrema destra. Per la prima volta, l’Europa avrà, al suo interno, un governo i cui leader credono alla sostituzione etnica. E per la prima volta, l’Europa avrà di fronte a sé uno dei paesi fondatori dell’Unione europea che si presenta al pubblico con un governo il cui curriculum somiglia più al profilo di chi l’Europa in questi anni ha provato a distruggerla piuttosto che a chi l’Europa in questi anni ha provato a ricostruirla.

La seconda questione, più rilevante, riguarda invece ciò che il governo rappresenta. E viste le condizioni date, la migliore cosa che poteva capitare è capitata: un solido governo politico, con al suo interno tutti i principali leader che guidano i partiti della coalizione. Un governo che avrà molte linee di frattura, molti problemi potenziali, molti nodi da risolvere ma che grazie alla presenza dei leader, in posizione chiave, sarà costretto a fare un’ulteriore immersione in un bagno chiamato realtà. Il governo che nasce, dunque, è un governo potenzialmente pericoloso, e minaccioso, ma il governo presentato ieri da Giorgia Meloni, pur avendo molti difetti, molti punti interrogativi, molti elementi di ambiguità, è un governo che si presenta a sorpresa con un passo giusto e con alcune caratteristiche che più che preoccupanti si presentano come incoraggianti. Serviva un ministro dell’Economia capace di indicare con forza una discontinuità netta del sovranismo dal suo tossico passato anti europeista e Giorgia Meloni ha fatto tre volte bingo: ha premiato il più tecnico fra i ministri politici, ha premiato il più europeista tra gli ex ministri della Lega e ha trovato un modo per affidare le leve dell’economia non a un tecnico, come spesso è accaduto negli ultimi venticinque anni di storia italiana, ma a un politico puro, che con la sua presenza al Mef renderà meno semplice un’operazione tipica dei partiti populisti: scaricare sui tecnici le incapacità della politica trasformando il Mef, come successo ai tempi del governo gialloverde, in un manipolo governato dai pezzi di M (dove M in questo caso non sta per Mef).

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Serviva un ministro dell’Interno diverso da Matteo Salvini, al Viminale, e quel ministro è stato trovato e tutto ha il prefetto Piantendosi tranne che il profilo di un estremista anti europeista. Serviva un ministro dello Sviluppo non accecato dall’odio anti europeista e anti mercatista e anche quel ministro è stato trovato nella figura di Adolfo Urso. Serviva un ministro degli Esteri capace di far segnare una continuità con la stagione dell’atlantismo europeista del governo Draghi e avere per quel ruolo un ex presidente del Parlamento europeo, e un uomo del Ppe, come Antonio Tajani è tutto tranne che una scelta ambigua, nonostante le spericolate uscite del Cav. Serviva un ministro della Giustizia garantista capace di dare il segno di una svolta del centrodestra rispetto alla stagione del cappio, della gogna, dello scalpo, e aver trovato un ministro come Carlo Nordio, garantista a ventiquattro carati, è una scelta coraggiosa, che allontana il centrodestra dalle ambiguità tossiche della cultura giustizialista. Serviva un ministro capace di caricare sulla politica le responsabilità del Pnrr e Meloni ha giustamente affidato quel ministero al suo principale alleato, Matteo Salvini, che dalla guida delle infrastrutture potrà sì utilizzare il joystick per muovere a suo piacimento la Guardia costiera, forse, ma dovrà prima di tutto occuparsi di come mettere a terra i fondi del Pnrr, che in gran parte viaggeranno oltre che dal Mef anche dal suo ministero. Serviva un ministro capace di non trasformare le politiche sul welfare nel simbolo del prossimo default italiano e il fatto che non vi sia un politico identificabile con il modello Quota 100 è un segnale positivo per il futuro delle casse italiane. Serviva un ministro della Salute capace di tenere distante dal futuro dell’Italia il passato “nì vax” della destra italiana e avere un governo che ha scelto di affidare il destino della sanità a uno dei medici che hanno contribuito a spazzare via la retorica negazionista durante la campagna di vaccinazione degli italiani (Orazio Schillaci, rettore di Tor Vergata) è tutto tranne che un’altra prova di ambiguità.

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Non è un Draghi bis, per carità, ma il ritorno convinto della politica a Palazzo Chigi ha portato al governo i più tecnici fra i politici in circolazione, ha allontanato dalle posizioni cruciali del governo i volti più estremisti della coalizione, ha messo le casse dello stato lontano da chi potrebbe fare danni e anche grazie all’aiuto di alcuni tecnici Meloni è riuscita a segnare una discontinuità più dal proprio passato della destra che dal passato di chi la destra ha combattuto. Maggioranza pericolosa, governo non minaccioso, Draghi non rottamato, europeismo non ripudiato, estremismo non coccolato e una possibilità all’orizzonte che coincide con una domanda: riuscirà la coerente Meloni a essere a tal punto incoerente con se stessa da diventare per la destra europea un modello da osservare e non da osteggiare? In bocca al lupo.

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