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ragioni per una svolta

Viva il governo dei politici che dovrà assumersi le proprie responsabilità

Claudio Cerasa

Costringere i partiti meno responsabili a rispondere delle proprie azioni. Le caselle da sistemare sono molte, ma due notizie sono già promettenti: Giorgetti al Mef e Salvini alle Infrastrutture

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Nelle pazze e creative geometrie che emergono rispetto al futuro governo vi sono alcune caselle importanti che sembrano essere ormai certe. È praticamente certo che Antonio Tajani sarà il prossimo ministro degli Esteri (anzi lo era, prima delle parole del Cav. su Putin di ieri: “Ho riallacciato i rapporti con Putin, mi ha regalato 20 bottiglie di vodka”). È praticamente certo che Gian Marco Centinaio sarà il prossimo ministro dell’Agricoltura (ruolo che aveva già svolto in un governo non fortunatissimo: quello gialloverde). È praticamente certo che Matteo Piantedosi sarà il prossimo ministro dell’Interno (attuale prefetto di Roma, ex capo di gabinetto di Matteo Salvini in un governo non fortunatissimo: quello gialloverde). Così come è praticamente certo che due politici di primo piano, come Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini, entrambi leghisti, siano a un passo dall’occupare due caselle strategiche: il primo, Giorgetti, il ministero dell’Economia, mentre il secondo, Salvini, il ministero delle Infrastrutture.

 

Due politici importanti, due caselle strategiche, due mosse che, vista la natura del governo nascente, potrebbero essere particolarmente azzeccate se si sceglie di considerare come prioritario per il futuro dell’Italia un tema che potremmo provare a sintetizzare così: la responsabilizzazione dei populismi attraverso la leva della politicizzazione del governo. Certo, è ovvio: un governo politico a trazione sovranista non bilanciato a sufficienza da tecnici in grado di fermare per tempo i populismi prima di un eventuale disastro potrebbe essere indotto a commettere anche danni spaventosi, provando a giocare, come fatto da Liz Truss in Inghilterra, con i fondamentali dell’economia, mossi dalla convinzione che a certe condizioni due più due possa fare anche cinque. Eppure, l’idea che due caselle strategiche per il futuro dell’Italia, come il Mef e come le Infrastrutture, possano finire nelle mani di due politici a ventiquattro carati offre anche una ragione di ottimismo rispetto al futuro.

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E la questione è semplice: per evitare che un governo a trazione populista possa portare avanti politiche irresponsabili e per sperare che un governo a matrice nazionalista possa mettere in atto una svolta moderata, avere come ministri in alcuni ruoli chiave due politici che saranno direttamente responsabili delle azioni del proprio governo costringerà i partiti meno responsabili ad assumersi inevitabilmente le proprie responsabilità. Sarà una rivoluzione avere per la prima volta da molti anni a questa parte un politico puro al Mef  (ultimi ministri dell’Economia dal primo governo Prodi a oggi: Ciampi, Tremonti, Siniscalco, Tremonti, Padoa-Schioppa, Tremonti, Grilli, Saccomanni, Padoan, Tria, Gualtieri, Franco). E lo sarà non solo perché Giorgetti è stimato da Mario Draghi (che ha dato il suo ok a Meloni per proporre Giorgetti a Sergio Mattarella). Non solo perché Giorgetti è considerato nel centrodestra l’anti Tremonti (nel 2011, ai tempi dell’ultimo passaggio al Mef di Tremonti, Giorgetti era il suo contraltare alla presidenza della commissione Bilancio). Non solo perché Giorgetti sa parlare ai mercati (anche se ora dovrà imparare anche a parlare in inglese, materia che il prossimo probabile ministro non padroneggia). Lo sarà perché avere un ministro dell’Economia politico, per un governo guidato da leader che in un passato recente il populismo non lo hanno disdegnato, non permetterà alla politica di scaricare facilmente su qualcun altro la responsabilità delle proprie azioni e renderà di conseguenza più difficile per i partiti imboccare scorciatoie facili per provare a risolvere problemi complessi (salvo non voler perdere la faccia). 

 

Il ragionamento vale per Giorgetti ma vale in eguale misura anche per Matteo Salvini e per la sua possibile e imminente investitura come ministro delle Infrastrutture. Certo, anche qui, a voler guardare il bicchiere mezzo vuoto vengono i brividi a pensare che Salvini possa avere in mano un joystick con cui guidare la Guardia costiera, che risponde al ministero delle Infrastrutture. Ma la verità è che avere un politico di primo piano alla guida di un ministero che sarà cruciale nel gestire una parte rilevante del più importante dossier economico con cui dovrà fare i conti l’Italia nei prossimi anni, ovvero il Pnrr, costringerà Salvini a diventare per forza di cose il responsabile della gestione di circa un terzo dei 220 miliardi di euro che arriveranno in Italia dall’Europa nei prossimi sei anni (tra Pnrr e piano nazionale complementare sono 61 i miliardi che passeranno dal ministero delle Infrastrutture).

 

E si capisce che rispetto a questa prospettiva, rispetto cioè alla prospettiva concreta che Salvini possa diventare mister Pnrr, si può tremare pensando ai guai che potrebbero manifestarsi affidando il frutto della solidarietà europea a un ministro che in passato ha raccolto le firme per uscire dall’euro ma si può anche sperare che la presenza di un costo molto elevato costituito da ciò che rappresenterebbe per l’Italia perdere il treno europeo potrebbe viceversa costringere Salvini a mettere per una volta la sua ruspa a difesa di una buona causa: provare a usare la leva delle infrastrutture per rendere più veloce l’Italia trasformando per forza di cose i vincoli dell’Europa non più in totem da abbattere ma finalmente in assist da sfruttare. La sfida promette di non essere semplice ma la questione in fondo è chiara: avere due ministri politici costretti a fare i conti con le proprie responsabilità potrebbe costringere anche i partiti più irresponsabili a fare i conti con la realtà. Sabotare o governare. Il futuro dei partiti che andranno a formare il governo Meloni in fondo passa anche da qui, oltre che ovviamente dalle prelibate vodka del Cav.

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