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passeggiate romane

Letta vuole il congresso a gennaio, ma ai big del Pd serve più tempo

I nomi grossi del Nazareno hanno bisogno di più mesi per fronteggiare Stefano Bonaccini, perciò ora si inventano “fasi costituenti”. Questa volta il presidente dell' Emilia non pensa di fare passi indietro. Intano, il partito deve affrontare il problema delle elezioni in Lazio, che non si vincono senza l'alleanza con il M5s

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Enrico Letta vuole il congresso a gennaio. Il segretario dem che ha deciso di tenere ancora le redini del partito fino al cambio al Nazareno pensa comunque che sia il caso di non tardare con i tempi. Non lo vuole per sé, perché ha accettato di restare in sella e non dimettersi per “spirito di servizio”, ma non lo vuole nemmeno per il partito (“Se le cose restano ferme per troppo tempo marciscono”). Ma i big del Partito democratico hanno bisogno di più mesi per fronteggiare Stefano Bonaccini, perciò ora si inventano “fasi costituenti” che andrebbero oltre l’assise nazionale e frenano ogni accelerazione. Di costituente parla Matteo Ricci, candidato per caso, ma non candidato sul serio. E di un congresso in tempi non brevi parla esplicitamente Andrea Orlando.

E a proposito di Andrea Orlando. Il ministro per il Lavoro è ben conscio del fatto che non ha i numeri per conquistare il partito, però sta meditando se presentarsi comunque. Sarebbe un modo, dicono i suoi, per mettere in sicurezza la sua area, e mantenere un potere nei rapporti di forza che verranno. Bonaccini, dal canto suo, aspetta che tutti mettano le carte sul tavolo, ma è seriamente intenzionato a fare le sue mosse. Attende soprattutto di capire che cosa deciderà di fare Dario Franceschini, che finora si è guardato bene dallo scoprire il suo gioco. Questa volta, però, il presidente della regione Emilia Romagna è in ballo e non pensa di fare passi indietro. Però, come ha spiegato ai suoi in queste ore, la sua battaglia ha un senso solo se ricalca quella che a suo tempo fece Matteo Renzi. Niente accordo con le correnti e avanti tutta nel nome di una sorta di rottamazione bis. Ciò nonostante, come si diceva, quello che intende fare Franceschini è importante. All’epoca di Renzi non giocava quella partita, ma dopo un paio di mesi ha capito subito che solo col fiorentino il Pd aveva delle chance. E adesso? 

Nel frattempo il Pd nazionale deve affrontare un problema locale di non poco conto: le elezioni del Lazio non si vincono senza il Movimento 5 stelle. Perciò tornare a parlarsi diventa inevitabile. Ma fino a dove ci si può spingere? “Non possiamo rischiare di farci chiudere la porta in faccia da Conte di nuovo”, sospirano al Nazareno. Quindi la pratica è stata affidata a chi con i grillini è riuscito a costruire un rapporto in questi mesi. Ossia Nicola Zingaretti. Il timore di tutti, però, è che Conte alla fine accetti sì un accordo, ma in cambio della presidenza del Lazio. In questi giorni lo stato maggiore del Pd sta decidendo se il gioco vale la candela. Se cioè pagare dazio a Conte ed evitare una seconda sconfitta contro il centrodestra – che comunque brucerebbe – o se è  meglio tentare l’avventura in solitaria. Tanto più che sia Fratoianni sia Bonelli e, ancora di più Speranza (cioè gli unici compagni di viaggio dei dem) vogliono recuperare i rapporti con i 5 stelle parte di proprio dal Lazio.

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