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Ztl addio?

Il risveglio amaro della sinistra nelle città e gli ultimi baluardi residui

Marianna Rizzini

Dai grandi ai piccoli centri, la mappa elettorale ricalca lo stesso schema: i quartieri rossi storici da tempo vanno a destra, e stavolta lo hanno fatto ancora di più. Fabrizio Masia: "L'isolamento ha pesato. Con un Pd alleato di Azione o M5s avremmo avuto maggiore competitività in Parlamento"

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Un mare blu in cui annegano piccole, sparute isole rosse: la cartina dell’Italia, negli schemi post-elettorali, non lascia margine al dubbio: vittoria della destra a tappeto. Anche la mappa delle città di piccola e media grandezza ricalca lo stesso schema, motivo per cui, nelle prime ore della notte post-elettorale, a urne chiuse da poco, il centrosinistra ha sperato nel tradizionale barlume: le zone delle grandi città cosiddette “aree ztl”.

 

 Ma stavolta “si è faticato anche in quelle”, seppure con buona tenuta al centro di Milano (sorta di oasi per il Pd) e di Torino, dice Fabrizio Masia, amministratore delegato di Emg different (consorzio Opinio). “Il quadro di frammentazione a sinistra”, dice Masia, “con la rottura dell’alleanza tra Pd ed M5s e la corsa in solitaria del terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, ha avuto riflessi particolarmente pesanti in zone e città dove la sinistra di solito vinceva, a partire dalla Toscana, con l'eccezione di Firenze. Diciamo che il cuore delle grandi città in generale ha retto, per la sinistra, se si guarda al Nord, ma non al centro e al Sud”.

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A Roma non c’è più una ztl per la sinistra: nel collegio uninominale per il Senato U02, quello che copre il centro e non solo, ha vinto per la destra Lavinia Mennuni, terza incomoda nella competizione tra fratelli-coltelli (Emma Bonino e Carlo Calenda). E ieri non a caso quella competizione è stata citata sia da Enrico Letta sia da Calenda medesimo nelle dichiarazioni di rammarico post-sconfitta. “Il caso di Roma centro”, dice Masia, “evidenzia appunto il suddetto errore strategico sulle alleanze. E il centrosinistra, a livello nazionale, avrebbe avuto la possibilità, vista la legge elettorale, di giocarsi almeno un quasi-pareggio. Con un Pd alleato, per esempio, con Renzi e Calenda, si perdeva qualcosa sul lato sinistro ma si aumentava il consenso al centro. Con un Pd alleato del M5s si sarebbe perso invece qualcosa al centro, prendendo però forza a sinistra. In entrambi i casi, la somma dei voti si sarebbe avvicinata a una soglia di competività in Parlamento, vista sempre la legge elettoraleL’isolamento ha pesato, e il campo largo frammentato in tre pezzi anche”.

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Sempre non a caso, di fronte a quartieri rossi storici che da tempo vanno a destra e stavolta ancora di più (Sesto San Giovanni, ex Stalingrado di Milano, “vinto” da Isabella Rauti contro Emanuele Fiano), i leader sconfitti, ieri, evocavano il “campo largo” perduto. Resiste Bologna. “A Bologna e in alcune zone dell’Emilia, ma non in tutte”, dice Masia, “il Pd tiene anche per effetto-traino del consenso raccolto finora dal governatore Stefano Bonaccini. Ma anche in questa regione storicamente rossa il centrodestra prende più collegi, confermando il dato: si paga il non essere riusciti a costruire un progetto più ampio”.

Ci sono poi le “ztl” del sud, prese dai Cinque stelle (Napoli e Palermo). E c’è l’enclave terzopolista nel collegio uninominale di Milano centro per la Camera, dove Calenda e Renzi superano il 20 per cento. Poi c’è il modello “a contrario” di Cagliari: governata da Fratelli d’Italia, ma teatro, stavolta, di una vittoria del centrosinistra. Fatto sta che la sconfitta a Roma centro ieri offriva a Calenda e a Letta il canovaccio per la polemica a urne appena chiuse. “Mi dispiace molto che Emma Bonino non entri in Parlamento, il Pd l’ha usata contro di me”, diceva il leader di Azione, lanciando ponti verso il futuro (“mi spiace per +Europa che non raggiunge la soglia, le porte continuano assolutamente a essere aperte”). “Il fuoco amico di Calenda su Bonino ha aiutato la destra, i numeri dimostrano che l’unico modo per vincere era il campo largo”, diceva invece il segretario uscente del Pd, nell’ora più buia del day after. Ma è intanto dalle città che parte un grido di riscossa: i sindaci dem sono pronti al congresso. 

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