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Per le coscienze inquiete del paese, un governo Meloni è il perfetto inizio della pacchia

Andrea Minuz

Se il centrodestra vincerà le elezioni anche l'Italia sarà animata da quel sentimento di opposizione come la Gran Bretagna dopo la vittoria di Margaret Thatcher? La premier fu la cosa migliore che potesse capitare ad artisti e intellettuali. Risvegliata dal torpore dei sussidi laburisti, Londra tornò a essere la capitale della musica, della moda, della cultura

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Sarà che quest’ondata di commozione regale favorirà ancora di più Fratelli d’Italia, col presidenzialismo che ora fa sognare un po’ di monarchia anche qui (tutti a rivedersi “The Crown”, di nuovo in cima alla classifica su Netflix in questi giorni). Sarà che insieme alla paura per l’orbanizzazione, i diritti, l’emergenza democratica, c’è anche una gran frenesia, e in molti sotto sotto si augurano che le cose vadano come devono andare. Dovesse stravincere come da sondaggi, e addirittura governare, Giorgia Meloni aprirà un vasto campo di battaglia per le coscienze inquiete del paese. Un nuovo Eldorado di fascismo immaginario, finalmente un po’ meno immaginario.

 

Scrittori, artisti, filosofi, influencer, trapper, creatori di meme, tutti avranno una possibilità in più per uscire dall’insignificanza e dall’anonimato. Come ai tempi del primo Cav., ma anche meglio. Troppo ghiotti del resto qui i corsi e i ricorsi: il centenario della marcia su Roma sullo sfondo, la storia che si ripete due volte, la prima a torso nudo, la seconda in tailleur, quindi ancora più infingarda. Perché il peggior patriarcato, la peggiore mascolinità tossica si travestono sempre da donna, ci spiegano le femministe. Se il patriarcato “è una funzione”, come ricorda Michela Murgia, chi meglio di Giorgia può incarnarne la natura ingannevole, cangiante, trasformistica (l’ha detto anche Elodie, volando un po’ più basso: “Giorgia Meloni parla come un uomo del 1922”)? Da annullare, insomma, l’elezione a prima premier femmina d’Italia, come in un “numero zero” venuto male. Eccola, Giorgia, già approdata all’ultimo Festival di Venezia: musa del documentario di Mark Cousins sulla marcia su Roma, fantasma che aleggia sul film di Amelio sul caso Braibanti. E sarà di certo un successo la serie Sky tratta da “M” di Scurati, “storia di un paese che si è arreso alla dittatura”, dunque vicenda attualissima.

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In un trip collettivo di conflittualità permanente, Giorgia rivitalizzerà il gran circo dei talk-show, le barricate a scuola e all’università, il 25 aprile, il Primo maggio, le manifestazioni del sabato, gli scioperi del venerdì, la Biennale, i premi letterari e flash mob, reading, inserti di Repubblica e festival su qualsiasi cosa, in una furibonda Nouvelle Vague di genuino e rinnovato antifascismo.

 

Anni fa, in un suo libro di memorie e ricordi, Roger Scruton, filosofo conservatore, scrittore, ambientalista, avvocato e grande amante della caccia alla volpe, rievocava l’entusiasmo che invase l’Università di Londra il giorno dopo la vittoria di Margaret Thatcher. Finivano anni di scialbo consenso socialista. Anni in cui “si frugava negli angoli della società britannica per scovare qualche squallido fascista cui valesse la pena opporsi”. Finalmente arrivava “qualcuno da odiare sul serio”. “Un vero e proprio demonio era entrato in scena!”, diceva Scruton. E la sorpresa era che alla Thatcher “non importava di essere odiata dalla sinistra, anzi, ribatteva colpo su colpo e trascinava la gente”.

 

L’odio della sinistra divenne la sua grande spinta propulsiva. Ma la Thatcher fu la cosa migliore che potesse capitare ad artisti e intellettuali. Risvegliata dal torpore dei sussidi laburisti, Londra tornò a essere la capitale della musica, della moda, della cultura giovanile, insomma il posto in cui andare negli anni Ottanta. Maggie fu musa della grande ondata del punk dopo i Sex Pistols, dei Clash, degli ultimi Pink Floyd, delle sfilate di Vivienne Westwood, dei film di Ken Loach e Derek Jarman, di un numero incalcolabile di romanzi, saggi, poesie, testi teatrali, collettivi, performance, festival. Qui da noi, coi governi Berlusconi, a pari incazzatura, non si ricorda la stessa stagione di rifioritura artistica e culturale. Magari non ce ne siamo accorti. Forse ci fu anche un po’ di imbarazzo nel fare i film anti Cav. con Medusa e i libri di denuncia con Mondadori, chissà. Con Giorgia però è diverso. Stavolta c’è da opporsi sul serio. Vedremo se saremo all’altezza.

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