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Il racconto

Monsieur Mélenchon al Quadraró. Pazza cronaca

Andrea Minuz

Pugni in alto, umanesimo, volti, smarrimento. Insieme al politico francese ci sono anche Luigi De Magistris e Potere al popolo. Si sventolano bandiere e c'è una gigantografia di John Lennon

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Arriviamo trafelati al “Quadraro”, grande bastione di Roma sud, zona Cinecittà, trasformato per l’occasione in trepidante laboratorio di avanguardia ideologica. Macchine in doppia fila, ragazzini che si rincorrono, motorini, scooter e una piccola folla radunata nel parco che aspetta Jean-Luc Mélenchon. Vicino al palchetto, un minaccioso, gigantesco centro Snai, slot, videolottery e scommesse. È un gran giorno per il quartiere. Ci sono anche Luigi De Magistris e Marta Collot di Potere al Popolo. Sventolano, anche per l’afa e il gran caldo, le bandiere di Rifondazione, e stendardi vari con falci e martello a stile libero. Molti anziani, tanti adolescenti, qualche metallaro, una gigantografia di John Lennon, professoresse democratiche che hanno trascinato qui i loro studenti e si fanno largo tra le prime file, “forza ragazzi non capita mica tutti i giorni di vedere Mélenchon!”. 

 

Alcuni ragazzini leggono l’opuscolo: “Ripensare la scala mobile”. Gli anziani, tutti con una bandiera in mano, come in un film di Ettore Scola, borbottano: “Condivido er sessantacinque per cento di quello che ha detto De Magistris in televisione, solo che ce mette ’na settimana per fini’ un discorso”, “Ma Conte mo’ sta co’ noi?”. “Se sta’ a riposiziona’”. C’è una piccola arringa improvvisata di un anziano. Sale su una sedia di plastica, come quei gruppetti che aprono i concerti prima dell’arrivo della star: “I superprofittiiiii! Noi se dovemo prende’ tutti i superprofitti e co’ quelli ce pagamo la bolletta”. Applausi. Altri si interrogano sulla pronuncia esatta: “Ma se dice Melensciòn o Melànscion?”. “Boh”. “Melensciòn” però non si vede. Tarda.

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È bloccato sulla Tuscolana. Serpeggia un po’ di malumore. Gli organizzatori rassicurano: “Jean-Luc sta arrivando, non preoccupatevi”. Partono i primi interventi per scaldare la folla. Siamo qui, “contro la Nato che è aggressiva e provoca guerre, contro le multinazionali, contro l’agenda Draghi”, per “ricostruire un’alternativa con i giovani che hanno lottato nelle scuole, i lavoratori, i pensionati”. Volano a braccio accuse a raffica di essere un po’ tutti, presenti esclusi, pedine, strumenti, ingranaggi, rotelle di qualcosa di terribile, insomma “servi della Nato”. Lo dice lo striscione appeso ai piedi della palazzina romana sullo sfondo: “Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia”.

 

Qui il nemico numero uno è “il Pd di Letta”, seguito dall’Eni. Di Giorgia Meloni non si parla. Ogni tanto spuntano “i fascisti”, ma non si sa bene chi siano, Macron, la Nato, Draghi, Calenda, un po’ tutti. Marta Collot parla dell’esempio francese di Mélenchon, “un uomo senza compromessi, un uomo per la rottura, senza scendere a patti con il sistema, un progetto di un’urgenza indispensabile”. “Non ci fermeremo finché il potere non verrà rimesso al popolo”, ma qui va via l’audio all’improvviso, il popolo mugugna, ma si va avanti così, che importa. “Eccolo, eccolo! Fatelo passa’!”. Scortato dai suoi bodyguard, camicia bianca, occhiale scuro, Mélenchon sale sul palchetto, alza il pugno al cielo, entra in scena come una vera rockstar. Boato della folla.

 

Qualcuno urla “daje! daje! daje!”, come fosse il pupone al derby. Lo accoglie a braccia aperte De Magistris: “Io Jean-Luc l’ho conosciuto a Napoli, quando è venuto a vedere la rivoluzione napoletana cancellata dai media, quando è venuto a conoscere la nostra acqua pubblica” (e qui ci si sforza, non senza difficoltà, di immaginare l’incontro tra Mélenchon e l’acqua pubblica). “Oggi lui sostiene l’agenda Robin Hood l’unica alternativa al sistema consociativo!”.  

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Mélenchon non pronuncia una parola, anche perché non parla l’italiano, ma alza il pugno al cielo a ripetizione e incassa l’applauso. “Mélenchon è un uomo onesto”, chiosa De Magistris, “fateci caso non tiene mai le mani in tasca” (sarà anche perché sfodera sempre il pugno chiuso, a ripetizione). La gente grida “audioooo”, “audiooo”. Mélenchon inizia il comizio, traduzione simultanea, col microfono che fischia, ma almeno un po’ ora si sente.

 

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Parte con un lungo, vibrante omaggio al comunismo italiano, “il più allegro, il più inventivo”, dice Mélenchon, che si cattura l’ennesimo applauso. È anche simpatico. Dice che avrebbe preferito venirci a trovare come “presidente della Repubblica francese”. Monsieur le Président al Quadraró, sarebbe stato magnifico in effetti. La sua è la voce della speranza, la folla ci crede, la scintilla s’è accesa: “Non importa quanto ci vorrà, la rivoluzione arriverà”.

 

Studenti in estasi, anziani un po’ perplessi, ma entusiasmo alle stelle. Parte il canto “Re-si-sten-za, Re-si-sten-za”, Mélenchon s’interrompe, gongola, e risfodera il pugno. Sembra una gag, ma non ride nessuno. Poi, come sempre coi francesi, l’entusiasmo gli prende un po’ la mano. Mélenchon volta alto e s’inerpica su un complesso rapporto tra umanesimo, comunismo e anticapitalismo, tre variazioni sullo stesso tema, dice lui: “Voi non siete operai, studenti o pensionati, voi siete eredi dell’umanesimo italiano!”.

 

La folla lo fissa in silenzio. La voce di Mélenchon rimbomba nella piazza, si perde tra i clacson, le urla dei ragazzini che giocano a pallone, gli aerei (forse dei jet privati) che atterranno proprio lì dietro, a Ciampino. Che grinta però, che “occhi di tigre”, altro che i candidati del Pd!

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