l'intervista

"Meloni ci porta al default". Parla Calenda

Valerio Valentini

"La sua agenda economica è insostenibile. E' più statalista di Fratoianni, e come Fratoianni e Bonelli è contro il rigassificatore. Colloquio col leader del Terzo polo. Gli errori strategici di Letta, il rapporto con Renzi, il derby con la Bonino. "Emma fa la foglia di fico del Pd romano, che è il peggiore d'Italia"

Che sia davvero questo, lo scopo: riuscire a farli arrabbiare entrambi, con una stessa frase. “Ma no, io lo dico perché è proprio così”. Dice, Carlo Calenda, che “in quanto ad agenda economica, Nicola Fratoianni e Giorgia Meloni sono in perfetta sintonia: professano lo stesso statalismo improvvisato”. E però dei due, è una sola quella che ha legittime ambizioni di applicarle al governo, quelle ricette. “E così porterebbe l’Italia non tanto all’epoca truce del Ventennio, ma in zona Venezuela”. Donna Giorgia come Maduro? “Il programma economico della destra sovranista è la ricetta perfetta per il default. E poi le continue, surreali dichiarazioni di voler modificare il Pnrr negoziato con Bruxelles da Draghi. Magari realizzerebbe un decimo di quello che promette, ma con il solo uso scriteriato della propaganda Meloni sta producendo una fuga degli investitori internazionali dal nostro mercato del debito. In questo, la sua ascesa è analoga a quella di Salvini”.

E allora anche i sospetti di nostalgie che la Meloni si porta dietro, questo suo “non avere altra cultura politica personale se non quella dell’epica dei fasci di Colle Oppio”, è preoccupante in quest’ottica: “Sul piano, cioè, della credibilità internazionale, perché nessun leader europeo vorrà stringerle la mano”. E dunque la previsione del leader del Terzo polo, è netta: “Al governo, la Meloni durerà sei mesi”.

Sei mesi? Lo si diceva anche del M5s: e invece. “Ma l’agenda della Meloni è semplicemente irrealizzabile”, insiste Calenda. “Duecento miliardi di nuove spese: questo è il programma della destra. Una sintesi di anarcosfascismo che acuirà le tensioni sociali. Anche perché il primo atto che la destra dovrebbe fare sarebbe una delle leggi di Bilancio più severe degli ultimi anni. Altro che flat tax e quota 41. E poi la crisi energetica: Meloni, sull’opposizione all’indispensabile rigassificatore di Piombino, è alleata proprio di Fratoianni e Bonelli. Ed è convinta di nazionalizzare tutto. Pur di compiacere i sindacati organizzati della ex Alitalia, considera tutto sommato un effetto collaterale marginale il dover accollare ancora una volta i conti di Ita sui contribuenti. Questo suo protezionismo pecoreccio tradisce in realtà una grossa sfiducia verso la nazione di cui si professa patriota: l’idea, cioè, che solo rinunciando alla competizione con gli altri, alle sfide che l’Europa ci pone, possiamo restare in piedi”.

Non è che la convinzione che tutto pericliti subito nasconde la speranza di   potere  subito offrirsi come stampella? “Non esiste. Il nostro obiettivo è proprio non farla arrivare al governo, arginando in ogni modo la vittoria della destra, specie al Senato. E’ lì che bisognerà intervenire per favorire un governo sul modello Ursula che sia in continuità con l’eredità di Draghi”.

Viene da obiettare: se questo è lo scopo, non era meglio stare tutti insieme, come chiedeva Enrico Letta? “Francamente, io credo che il segretario del Pd sia l’autore della più disastrosa strategia delle alleanze nella non gloriosa storia delle alleanze del centrosinistra”. Ha avuto anche gli interlocutori meno affidabili della storia, forse. “Non torno sui fatti personali. Ma l’errore è politico. Perché se vuoi ergerti a  paladino dell’agenda Draghi, allora non ti allei con Fratoianni. Se invece l’idea è quella del Cln contro la destra,  è incomprensibile tenere fuori il M5s, regalandogli un’autostrada elettorale”.

E con Matteo Renzi, invece, come vanno le cose? “Benissimo”. Anche se vi si vede poco insieme? “Tra qualche giorno faremo un’iniziativa insieme a Milano. Alla fine hanno vinto le ragioni della politica, com’era giusto che fosse”. Malgrado qualche incomprensibile scelta sulle liste: come in Puglia, dove avete candidato uomini vicini a Emiliano. “Operazione che serve a sottrarre dall’orbita del peggior governatore italiano l’area popolare. Pur di far cadere Emiliano, questo e altro”.

E’ un poco ardita, come tesi, da spiegare al pubblico. “Non ho paura di confrontarmi con nessuno, su questo come su altri temi. Sempre che lo si possa fare”. Letta e Meloni non sembrano ansiosi di condividere il palco con altri leader. “E’ la campagna di Sandra e Raimondo, questa. Sono convinti di legittimarsi a vicenda: l’una condividendo il video di uno stupro, con un gesto abietto, e l’altro rispondendole ‘viva le devianze’. Roba da quarta elementare. Non è una cosa da paese civile che non si faccia un confronto televisivo coi leader di tutti gli schieramenti in campo. E anche loro due, Letta e Meloni, ci farebbero la figura di chi ha paura”.
Calenda invece se la vedrà con Emma Bonino, nel collegio di Roma. “E’ una faccenda che mi lascia un po’ di amarezza”. Ma è convinto di farcela? “Sono convinto della bontà del lavoro svolto per Roma. Dopodiché, credo che Emma si sia lasciata strumentalizzare dal Pd, prestandosi a un’operazione non all’altezza della sua storia. Ed è triste pensare che una come la Bonino finisca a fare la foglia di fico di questo partito marcio che è il Pd romano. Il peggiore d’Italia”. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.