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editoriali

Da Dibba alle “mogli” ai narcisismi. L’avanspettacolo fa male agli elettori

Redazione

La campagna elettorale si va trasformando in un asilo Mariuccia in cui i personalismi, gli infantilismi, le ripicche e i dispettucci prendono il sopravvento sul resto. Anche riderne ormai diventa una fatica penosa

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Nella campagna elettorale agostana e stordita ci sono anche momenti di godibilissimo cabaret, che possono distrarre per un attimo i cittadini dai cupi pensieri sui destini del paese dopo il 25 settembre. Ad esempio il video strappacuore di Alessandro Di Battista, fermo in un parcheggio dentro un’automobile, che spiega perché alla fine non si è candidato (non l’hanno candidato), ma poi gli slitta la frizione e inizia a inveire contro Grillo, contro Fico, contro quelli che avevano truccato i numeri perché il vero capo doveva essere lui, e non Di Maio.

 

Ma non solo Di Battista. Da più parti la campagna elettorale si va trasformando in un asilo Mariuccia in cui i personalismi, gli infantilismi, le ripicche e i dispettucci prendono il sopravvento sul resto. Una impreparazione politica e una mancanza di forma così estese che anche riderne, in effetti, diventa una fatica penosa. Sempre nei Cinque stelle c’è Rocco Casalino, che non ci dorme le notti e alla fine racconta di non essersi candidato perché sennò avrebbero tirato in ballo Conte. Porello.

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Ma fuori dal Movimento ci sono i narcisismi fumantini che impediscono di mettersi d’accordo anche tra simili, vedi Calenda e Renzi; e da ultimo c’è l’indecente commedia con la sciatta trama di tirare in ballo “le mogli di”, come se una donna non fosse in grado di fare politica e di prendersi lo spazio autonomamente. E, soprattutto, come se tutti i maschietti e i mariti il proprio posto in lista lo avessero senza dover dire grazie a nessuno.

 

E’ avanspettacolo che non diverte più nessuno, se non la cagnara dei social, e forse la situazione  del paese dovrebbe suggerire ai politici, professionali o dilettanteschi che siano, che è il momento di cambiare registro. Ieri un’analisi di Swg  e Istituto Cattaneo segnalava il forte rischio di astensionismo, anzi “la scarsa propensione a votare” per via di un diffuso senso di disillusione. Quel sentimento, che assale lo spettatore quando agli attori sul palcoscenico cadono le maschere. Meglio smetterla.

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