La giornata

Letta prova a domare Calenda ma i veti restano

Gianluca De Rosa

I due leader si vedranno domattina alla Camera, ma sulle candidature di Di Maio, Fratoianni e Bonelli che Azione non vuole il Pd svela un accordo già chiuso. Il timore è che l'ex ministro voglia strappare. Secondo i sondaggi il centrosinistra così perderebbe altri 16 collegi

Uno chiede “patti chiari”. L’altro replica che i “patti sono chiarissimi”. Entrambi si vogliono incontrare, ma non ci si vede. In serata però Enrico Letta e Carlo Calenda si sentono più volte al telefono. Doveva essere il giorno del “o la va o la spacca”, dello showdown, quello in cui il segretario del Pd e il leader di Azione si sarebbero messi d’accordo o avrebbero deciso di andare ognuno per la sua strada. E invece no. Si tentenna.  L'incontro è posticipato a domani mattina alle 11 alla Camera. La giornata scorre a colpi di repliche. Di inviti a vedersi “ma…”. E la soap opera Pd-Azione presta il fianco al favoritissimo centrodestra, quello che doveva spaccarsi e che invece è già in campagna elettorale. Licia Ronzulli, senatrice di FI, ma soprattutto donna-agenda di Silvio Berlusconi, ne approfitta subito. Su Twitter mette il dito nella piaga: “Letta e Calenda sembrano due adolescenti in una tipica storiella estiva, tenera ma senza alcuna prospettiva”. Secca la risposta di Calenda: “E’ quasi una cena elegante”.

 

 

E però la replica, arguta o cafona che sia, non funziona, perché l’impasse è evidente. Un influente deputato del Pd ammette: “Siamo al gioco del cerino”. Nessuno strappa perché nessuno se ne vuole prendere la responsabilità.


Letta, dopo aver riunito prima la segreteria del partito allargata ai vertici istituzionali, chiede patti chiari e svela di aver incontrato il leader di Azione giovedì nella sede dell’Arel, la fondazione voluta da Beniamino Andreatta, che è il suo quartier generale. “Ci siamo stretti la mano, eravamo d’accordo poi due giorni dopo tutto è saltato e allora stringersi la mano non significa nulla?”, dice. “Per me la parola data è tutto”. Ma l’altro, che già in mattina aveva spiegato di “aver chiesto il minimo sindacale” accusando Letta dell’eventuale strappo, subito replica: “I patti sono chiarissimi: no Bonelli, Fratoianni che sono contro Draghi negli uninominali, no Di Maio negli uninominali. Già accettarli in coalizione per noi è problematico, ma ti siamo venuti incontro”. Un pezzo di Pd, dal governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, alla vicesegretaria Irene Tinagli è per accontentare Calenda. E però nell’incontro di giovedì – dicono fonti dem – l’accordo era stato chiuso anche su questo punto: con un collegio uninominale per tutti e tre. Nonostante questo Letta non strappa. “Un grande partito deve avere comunque un surplus di responsabilità in più per cercare un accordo, ma bisogna volerlo entrambi”, è il ragionamento del segretario dem che non apprezza lo stile di Calenda: gli ultimatum via Twitter, ma soprattutto “le scomuniche ad personam”. Si comincia anche a diffidare.  Si dicono cose del tipo: “E se alla fine Calenda volesse solo trovare il pretesto giusto per strappare?”. Oppure: “E’ convinto che tanto il centrodestra vincerà lo stesso, ma lui andrà molto più forte da solo”. Nel centrodestra su questo, da giorni, c’è chi maligna. Calenda, si dice, ha persino già cominciato a raccogliere le firme qualora +Europa non lo seguisse (il simbolo del partito di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova è quello che consente ad Azione di evitare la raccolta). Ma la verità è che non ce ne sarebbe neanche bisogno. Il potere di ricatto di Bonino e soci è praticamente zero. Perché senza +Europa, Calenda potrebbe chiudere un accordo con Matteo Renzi, che un simbolo per non dover presentare le firme già lo ha. Ma al Nazareno nonostante i timori hanno visto l’ultimo sondaggio di You Trend: senza Calenda il centrosinistra perderebbe 16 ulteriori collegi uninominali tra Camera e Senato.