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"Avrete nuove armi". Guerini rassicura il collega ucraino, mentre Lega e M5s fanno i capricci

Valerio Valentini

La fermezza del ministro della Difesa a Bruxelles. Il risentimento doi Kyiv verso Francia e Germania, alla vigilia del viaggio di Draghi insieme a Scholz e Macron. Letta mette in guardia Salvini, ma teme anche Conte. A cui, per rabbonirlo, offre un posto tra i socialisti nel Consiglio d'Europa

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La conferma che di spazio per i tentennamenti ce ne sia poco, i consiglieri militari al seguito di Lorenzo Guerini devono averla avuta quando hanno intercettato la delegazione ucraina sbuffare coi colleghi tedeschi e francesi durante una pausa dei lavori di Bruxelles: “Voi ci dite che ci vuole tempo, ci chiedete di fare le riforme per essere ammessi nell’Unione europea: ma se prima non respingiamo l’invasione, non avremo né tempo né un paese da riformare”. Al che anche il ministro della Difesa italiano, che mercoledì scorso si era dilungato al telefono col suo omologo di Kyiv, Oleksij Reznikov, nello spiegare i contorcimenti di una parte della politica italiana intorno al tema delle armi, ieri, in un bilaterale molto cordiale, ha mostrato al suo collega una risolutezza più solida. Il tutto, mentre a Roma proseguivano le baruffe in vista del 21 giugno. 

E quanto quel lavoro sia politicamente delicato, lo sa bene il sottosegretario Enzo Amendola. Che ieri, a ora di pranzo, si è soffermato coi senatori della commissione Affari europei per fiutare l’aria, in vista della riunione operativa di oggi. C’è da capire come scrivere la risoluzione di maggioranza in vista del Consiglio europeo della prossima settimana. E quel breve scambio di battute gli è bastato per capire che la trattativa non sarà banale, anche perché in tanti la affrontano ancora tenendo coperte le carte. E così Stefano Candiani, delegato leghista al tavolo dei negoziati, s’è soffermato più che altro sulle questioni energetiche. Mariolina Castellone, capogruppo del M5s a Palazzo Madama, si lanciava invece in una preghiera: “Vi chiediamo di avere attenzione per le nostre sensibilità”. Solo che nel doverle definire, quelle sensibilità, lei stessa è rimasta nel vago. “Se si potesse evitare un riferimento esplicito al sostegno militare, ecco, sarebbe meglio”, è intervenuto allora il grillino Pietro Lorefice.

Non è detto che si possa. A Palazzo Chigi, in verità, vorrebbero non legittimare i capricci. Sanno che, agli occhi di Zelensky e anche a quelli di Biden, Draghi gode di una affidabilità che al momento difetta, per quel che concerne l’Ucraina, a Macron e Scholz, con cui oggi il presidente del Consiglio si recherà a Kyiv. E del resto l’abilità con cui l’ex capo della Bce ha saputo vincere le resistenze di Berlino e Parigi sul riconoscimento della candidatura all’Ucraina come stato membro dell’Ue,  indica  uno spazio diplomatico che Draghi non vuole  vedere ridotto dai tatticismi di Conte e Salvini.

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Sulle quali anche Enrico Letta, riunendo d’urgenza la segreteria del Pd in vista dei ballottaggi, ieri mattina ha mostrato qualche ansia. Ha raccomandato, è vero, di “non dare adito a una discussione, quella sulle alleanze, che interessa ben poco la gente comune”. Ma poi ha aggiunto che “questo continuo tirare la corda sul governo sta diventando insostenibile, ed è una strategia che non ha altro effetto che di indebolire l’Italia e Draghi nelle sue sfide all’estero”. Ce l’aveva con Salvini, nello specifico. Ma chi lo ascoltava, al Nazareno, non ha potuto fare a meno di notare che il discorso si applica perfettamente anche a Conte. A cui, comunque, il Pd lunedì offrirà un regalo non da poco, e cioè l’ingresso del M5s nel gruppo socialista del Consiglio d’Europa.  In cambio, ovviamente, Letta si aspetta “serietà e responsabilità”, nel sostegno a Draghi. Per questo, quando ieri il deputato grillino Riccardo Olgiati, durante una videocall coi colleghi di Kyiv, ha chiesto “se da parte dell’Ucraina c’è la disponibilità a un compromesso diplomatico con Mosca”, nel Pd hanno storto il naso.

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Di certo Guerini, impegnato a Bruxelles coi partner mondiali che forniscono armi a Kyiv, ha mostrato la fermezza di chi certi dubbi non se li pone. E anzi, a quel Reznikov che ricordava come ogni giorno di guerra nel Donbas comporti una spesa bellica di 500 milioni di euro, ha ribadito che “il supporto della resistenza delle Forze armate ucraine è uno sforzo tuttora essenziale per assicurare un negoziato paritario”. Insomma, per pensare alla pace, prima bisogna aiutare Zelensky a fare la guerra. Le armi italiane arriveranno, e nell’elenco ci saranno anche mezzi e artiglieria pesanti. C’è da capire solo se la spedizione avverrà prima o dopo il vertice Nato di Madrid di fine mese. E poi c’è da capire quanto concreti saranno i puntigli gialloverdi. Ma quelli, visti da Bruxelles, ieri apparivano ben poca cosa. 

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