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Salvini e l'incontro decisivo con Razov. Il 19 maggio si decise di pianificare il viaggio a Mosca

Valerio Valentini

L'intervento al Senato del capo della Lega, scritto tenendo conto dei suggerimenti dell'ambasciatore russo. Poi il nuovo incontro, con Capuano sempre presente. "non ero al libro paga del Cremlino, lo giuro", insiste lo sherpa del Capitano. Che puntava davvero a incontrare esponenti del governo di Putin

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Non fu l’unico, e neppure quello decisivo. Quello rivelato dal quotidiano Domani, risalente al primo marzo, segnò solo l’avvio del confronto. Ma l’incontro in cui si decise davvero di avviare l’organizzazione del viaggio di Matteo Salvini a Mosca avvenne il 19 maggio. Fu allora, poche ore dopo l’intervento del leader della Lega nell’Aula del Senato, che insieme all’ambasciatore Sergei Razov si decise che era arrivato il momento di tentare l’azzardo: perché di quella condizione che l’ex ministro dell’Interno poneva sul tavolo (“Altrimenti per me diventa impossibile proporre la cosa”), e cioè “un cessate il fuoco di almeno 48 ore per avviare dei negoziati seri”, bisognava che se ne facesse garante qualcuno con responsabilità di governo al Cremlino. Fu lì che la pianificazione della trasferta russa partì. Con l’immancabile Antonio Capuano presente, ovviamente. 

Che si stesse arrivando a una svolta, del resto, Salvini lo aveva percepito già alla vigilia. I contatti con l’ambasciata russa a Roma si erano intensificati, in quei giorni di metà maggio. “Se potessi farmi, nel mio piccolo, strumento di pace, ne sarei felice”, ripeteva il segretario della Lega. E i funzionari vicini a Razov qualche suggerimento lo fecero pervenire. E di lì partì un lavoro frenetico, tutto nell’ombra: perché Mario Draghi e Luigi Di Maio non dovevano sapere, troppo alto il rischio che il premier e il ministro degli Esteri sabotassero il tutto.

I canali tra Salvini e Razov  erano  aperti. “E non perché io fossi a libro paga dei russi: giuro su ciò che ho di più caro al mondo che io per loro non ho mai lavorato, da loro non ho mai preso un euro”, racconta ora Capuano. “Il punto è che a Salvini avevo espresso le mie tesi sulla crisi tra Mosca e Kyiv, e lui se ne era detto convinto”. Ed evidentemente tocca credere che seriamente l’ex vicepremier aveva imparato a fidarsi di Capuano fin da quel 18 marzo del 2021, quando proprio l’ex deputato di Forza Italia aveva sovrinteso all’incontro tra Salvini e l’ambasciatore del Kuwait in Italia, Sheikh Azzam Mubarak Sabah Al Sabah, avvenuto nello studio del senatore leghista, ammaliato dai racconti di questo intraprendente avvocato napoletano che vantava legami con la famiglia reale kuwaitiana e con altri ex leader dei paesi del Golfo Persico. E così, molti mesi più tardi, quando quel Capuano gli dirà che ha avuto una bella pensata, su come risolvere la guerra, Salvini utilizzerà quei suggerimenti per intavolare un dialogo serrato con Razov. 

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E poco importa che nel frattempo l’ambasciatore russo si renda autore, proprio a inizio marzo, di una lettera inviata ai parlamentari delle commissioni Esteri e Difesa per avvertire che “le azioni dell’Unione europea non resteranno senza risposta”. Poco importa che di lì a venti giorni lo stesso Razov si rechi addirittura alla questura di Roma per denunciare presunti articoli diffamatori pubblicati da giornali italiani, arrivando a pronunciare frasi intimidatorie contro cronisti della Stampa. “Il dialogo con Mosca va mantenuto”, ripete Salvini. 

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Che così in quel 19 maggio arriva a definire il discorso da pronunciare in Senato, al cospetto di Draghi, tenendo conto delle indicazioni arrivati dall’ambasciata. Di qui non solo la proposta di lavorare allo sblocco delle migliaia di tonnellate di grano ferme in Ucraina e in Russia come primo passo per una riattivazione delle trattative di pace, ma addirittura la strana richiesta di sollecitare il ritiro, da parte del Cremlino, della candidatura di Mosca come città organizzatrice dell’Expo 2030. Dichiarazione inedita, quella di Salvini, che però si rivela fondata di lì a cinque giorni, quando il governo russo annuncia effettivamente che quella candidatura non può essere più ritenuta valida. 

Ed è proprio in seguito all’incontro, stando a una ricostruzione confermata sia da una fonte leghista sia da un funzionario dell’ambasciata russa, che con l’ambasciata russa si decide di organizzare un nuovo incontro. Il tutto, in una giornata che per Salvini è già complicata, visto che dopo il dibattito a Palazzo Madama e un pranzo di lavoro deve correre a Frosinone per un comizio, e poi in serata tornare a Roma e gestire le reazioni dei suoi al Cdm convocato d’urgenza da Draghi per lanciare l’ultimatum sul ddl Concorrenza e la faccenda dei balneari. Eppure il tempo per l’incontro c’è. Ed è in quell’occasione, con Capuano presente come sherpa del Capitano, che Salvini e Razov discutono della necessità di un cessate il fuoco. Una tregua di almeno due giorni: una prova che l’avvio di un negoziato – da svolgersi “o utilizzando la diplomazia vaticana o quella di Israele, paesi percepiti da Putin come neutrali davvero, a differenza della Turchia”, secondo il manuale Capuano – possa avere una reale concretezza. Ma per questo salto di qualità della discussione, convengono il capo della Lega e l’ambasciatore russo, c’è bisogno di un colloquio di più alto livello. I garanti di un cessate il fuoco non possono che trovarsi a Mosca, al Cremlino. E dunque è lì che Salvini decide di andare, dando disposizioni ai suoi perché si attivino in tal senso. Prima che tutto si risolva in nulla, anche stavolta.

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