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Osservata speciale

Giorgia Meloni e gli alleati. Trappole e prospettive viste dal politologo Luca Ricolfi

Marianna Rizzini

Lega e Forza Italia proveranno a fermare l'ascesa di Fratelli d'Italia. Gli ex An e le due alternative per districarsi nelle trame dei "parenti serpenti" del centrodestra

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E’ un’osservata speciale, Giorgia Meloni, in questi giorni. La leader di FdI va infatti forte nei sondaggi, mentre il leader della Lega Matteo Salvini è in calo. Ma, pur con un biglietto della lotteria in mano, Meloni sa che Forza Italia e Lega cercheranno di bloccare la sua ascesa a premier. Come può, se può, uscire dalla possibile trappola? Lo chiediamo al politologo e sociologo Luca Ricolfi. “Devo fare una premessa, da ex sondaggista”, dice Ricolfi: “Attualmente Giorgia Meloni ha più voti di Silvio Berlusconi (ovvio), ha più voti di Salvini (ovvio), ma – a stare all’ultimo sondaggio Swg — ne ha pure di più di quelli che raccoglierebbe un ‘partitone’ che riunisse Forza Italia e Lega (meno ovvio). Vediamo perché.

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E’ un’osservata speciale, Giorgia Meloni, in questi giorni. La leader di FdI va infatti forte nei sondaggi, mentre il leader della Lega Matteo Salvini è in calo. Ma, pur con un biglietto della lotteria in mano, Meloni sa che Forza Italia e Lega cercheranno di bloccare la sua ascesa a premier. Come può, se può, uscire dalla possibile trappola? Lo chiediamo al politologo e sociologo Luca Ricolfi. “Devo fare una premessa, da ex sondaggista”, dice Ricolfi: “Attualmente Giorgia Meloni ha più voti di Silvio Berlusconi (ovvio), ha più voti di Salvini (ovvio), ma – a stare all’ultimo sondaggio Swg — ne ha pure di più di quelli che raccoglierebbe un ‘partitone’ che riunisse Forza Italia e Lega (meno ovvio). Vediamo perché.

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La Lega è al 15 per cento, Forza Italia all’8 per cento, la somma fa 23 per cento. Ma tutti gli studi sugli effetti delle fusioni fra partiti concordano su un punto: fondersi non conviene, perché una parte dei voti originari va perduta, o perché finisce nel non voto o perché confluisce su un partito affine. Applicata al caso della fusione di Lega e FI la regola significa che quel 23 per cento può diventare 21 per cento, e una parte della differenza — diciamo la metà, ossia l’1 per cento — potrebbe finire a FdI, che già è al 22,6 per cento, sempre secondo l’ultimo sondaggio Swg. Risultato: partitone Lega-FI al 21 per cento, FdI al 23,6 per cento. Provate a fare i calcoli con altri sondaggi, meno favorevoli al partito di Meloni, e vedrete che il risultano è meno netto ma non cambia: un partito Salvini più Berlusconi non è la strada per fermare Giorgia Meloni.

 

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Se vogliono fermarla, devono rimangiarsi la regola aurea del centrodestra, e cioè che il premier lo fa il leader del partito più votato”. Come può difendersi, Meloni? “In due modi, mi sembra”, dice Ricolfi. “Il primo è arrivare al 25 per cento dei consensi, il che chiuderebbe la partita. Il secondo è far presente ai due rivali che lei è prontissima ad accomodarsi all’opposizione, come ha sempre dimostrato di saper fare. Questa mossa non metterebbe in eccessiva difficoltà Berlusconi, che mi sembra pronto a governare insieme alla sinistra. Ma creerebbe problemi a Salvini, che sarebbe a disagio tanto nel ruolo di comprimario in un neo-governo Draghi, tanto nel ruolo di oppositore di rincalzo, visto che le carte dell’opposizione non potrebbe che darle Meloni”.

 

Il dopo Draghi, però, sembra preoccupare la leader di FdI, nonostante ci sia curiosità dal mondo imprenditoriale verso di lei. E’ chiaro che deve distaccarsi dai toni iper populisti di Salvini. Ma questa dinamica può nuocerle dal punto di vista elettorale? “Tutto al contrario”, dice il professore: “Penso che evitare i toni iper-populisti, semmai, di voti ne possa portare. Quel che non funziona, nell’iper-populismo di Salvini, non è il populismo, ma è l’iper, ossia gli eccessi verbali, il semplicismo, la rozzezza, talora la volgarità. Da questo punto di vista non vedo da che cosa Meloni dovrebbe distaccarsi, visto che il suo linguaggio e le sue proposte sono già in un registro diverso. Anzi, se devo dire, il problema di alcune proposte di Giorgia Meloni è, semmai, che talora sono molto tecniche, non riducibili a semplici slogan. Penso, ad esempio, alla proposta del maxi-job e alla preferenza per politiche fiscali di stampo keynesiano (decontribuzione integrale riservata alle imprese che aumentano l’occupazione). O alla ventilazione meccanica controllata nelle scuole, per combattere il Covid e scongiurare la Dad. O al disegno di legge per un ‘Liceo del made in Italy’. L’idea che ci sia un problema di iper-populismo da evitare mi pare, più che altro, una costruzione giornalistica, basata sulla meccanica associazione di Meloni a Salvini, come se i due formassero una diade omogenea, che individua i ‘cattivi’ del centrodestra, contrapposti al buono e ragionevole Berlusconi”.

 

Altro problema: se è vero che con il Pd sul nome di Draghi c’è stata convergenza al momento dell’elezione al Colle, la stessa convergenza risulta complicata dopo le elezioni, anche se Letta sembra pensarci. “Sarò ingenuo, ma io l’eventualità che, dopo le convergenze sull’elezione al Colle e sulla guerra in Ucraina ci sia una convergenza Letta-Meloni post-elezioni non la vedo proprio. Capisco che la possa sognare Letta, magari per allontanare lo spettro di un Pd relegato per 5 anni all’opposizione, ma non vedo come possa pensarci Meloni. L’unica, importantissima, convergenza che vedo è un’altra. Se gli altri partiti diventeranno ancora più piccoli, e Pd e FdI ancora più grandi, Letta e Meloni finiranno per parlarsi spesso, ma semplicemente in quanto leader dei due maggiori partiti italiani. Come, non di rado con grande costrutto, facevano la Dc e il Pci”.

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