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La missione

Così l’Italia si prepara per andare a sminare il porto di Odessa

Valerio Valentini

Draghi ha dato la disponibilità agli alleati: la nostra Marina è pronta per la missione nel Mar Nero. Ecco le condizioni necessarie. Le parole del premier a Biden e l'intesa necessaria con la Turchia

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Il varco è stretto. Letteralmente, perfino. E i tempi e i modi – e non si tratta di dettagli – andranno definiti. Ma nell’attesa che gli eventi prendano la forma sperata, nella speranza che una tregua anche solo parziale tra Russia e Ucraina si concretizzi, la nostra Difesa si è mobilitata. Mario Draghi e Lorenzo Guerini hanno spiegato agli alleati atlantici che sì, la nostra Marina militare è pronta a incaricarsi dello sminamento del porto di Odessa. Due navi cacciamine, della classe Gaeta e Lerici, sono state preallestite in vista della possibile missione. Che è strategica a livello internazionale, perché dalla bonifica delle acque del Mar Nero passa la riapertura delle tratte commerciali necessaria a scongiurare una catastrofe alimentare planetaria; e che è alquanto propizia, per il poco che conta e che però poco non è, pure a livello politico. 


Impegnarsi per rimuovere dal porto di Odessa le mine piazzate dagli ucraini per impedire lo sbarco russo garantirebbe infatti al  governo di rivendicare un ruolo di prima linea nella crisi, ma di farlo in un contesto che di bellico avrebbe ben poco, nell’immaginario collettivo. E così anche i pacifisti della difesa che è sempre legittima, anche i francescani del trumpismo che fu, avrebbero di che rasserenarsi.


Tutto, però, è ancora in movimento: lo scenario della guerra impone di farsi trovare pronti alla mutevolezza costante dello scenario. Col conflitto in corso, infatti, l’accesso agli stretti del Bosforo e dei Dardanelli è interdetto. Vale la convenzione di Montreux, che ha la bellezza di 86 anni ma che ancora riconosce alla Turchia il controllo assoluto dell’accesso al Mar Nero in caso di guerra. A inizio marzo, Recep Erdogan ha chiuso gli stretti alle navi militari, e al momento il divieto resta assoluto. E però due giorni fa, durante il suo incontro newyorchese con l’omologo turco Mevlut Cavusoglu, Luigi Di Maio ha discusso a lungo di una possibile iniziativa congiunta tra Roma e Ankara per aprire un negoziato che allo stato attuale appare ancora proibitivo. E la cordialità del colloquio, la tranquillità con cui il ministro degli Esteri turco ha confidato al capo della Farnesina che anche sulla faccenda dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato l’opposizione di Erdogan è per lo più tattica, hanno confermato l’alta diplomazia italiana nel suo convincimento: e cioè che le relazioni tra i due paesi si vanno davvero rafforzando. L’annuncio che Draghi ha fatto al Parlamento, ieri, sul bilaterale italo-turco fissato per l’inizio di luglio, subito dopo il vertice Nato di Madrid, ne è la conferma. “Coi dittatori bisogna essere franchi, ma cooperare”, disse il premier più di un anno fa. E ora di cooperare c’è bisogno. Per cui in chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
 

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Poi però c’è bisogno che anche chi è direttamente coinvolto nel conflitto, inizi a sposare le ragioni della diplomazia. Perché una tregua tra Mosca e Kyiv, o magari un cessate il fuoco concordato anche solo per quella porzione di Mar Nero, sarebbe condizione necessaria per consentire a Erdogan di rimuovere il divieto d’accesso negli Stretti. E lì servirebbe poi un qualche accordo internazionale, un’azione pianificata a livello alto. Un indizio, in questo senso, proprio Draghi l’ha lasciato intendere, nella sua informativa al Senato e alla Camera. “Valutiamo – ha detto –  la possibilità di sostenere la Romania nelle attività di sminamento marittimo del Mar Nero”. Che insomma la richiesta formale per un intervento straordinario venga da Bucarest? Non è da escludere. E certo le relazioni col governo locale per l’Italia sono buone, non fosse che per il fatto d’aver recentemente guidato – da dicembre 2021 all’aprile scorso – la missione Nato di base nell’aeroporto di Costanza.       

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Questo è insomma il contesto in cui l’Italia potrà inserirsi. Di più: in cui ha già lasciato capire di essere pronta a inserirsi. I membri dell’Alleanza atlantica ne sono stati informati, in via discreta. Draghi, poi, della faccenda ha parlato direttamente con Joe Biden: “Al presidente americano – ha riferito il premier – ho detto che dobbiamo agire con la massima urgenza per evitare che il conflitto in Ucraina provochi crisi alimentari. Serve un’azione coordinata e condivisa che sblocchi immediatamente i milioni di tonnellate di grano bloccati nei porti del sud dell’Ucraina”. Anche il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha di recente ricevuto rassicurazioni da nostri rappresentanti di governo: “All’occorrenza, ci saremo”. E del resto nelle tecniche di sminamento l’Italia può vantare competenze e mezzi all’avanguardia nel mondo, e non solo per l’esperienza maturata in Libia. Le analisi condotte dalla nostra Difesa coi servizi d’intelligence alleati hanno confermato che la nostra Marina ha cacciamine che, per predisposizione e funzionamento, sarebbero adattissime per il tipo di mine e i fondali di Odessa.

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