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pacifismo micidiale

Col 1° maggio si conclude un mese di marce e slogan pacifisti. “Peste del 900”, diceva Pannella

Salvatore Merlo

Non si può scegliere di non scegliere, come si illusero di fare quelli che nel 1939 gridavano nelle strade di Parigi di non voler morire per Danzica e poi caddero tutti per la difesa della Francia, dell’Europa e del mondo civile 

Dopo la Via crucis e il 25 aprile, con il Primo maggio intitolato “a lavoro per la pace”, si conclude un mese scandito dalle manifestazioni, dalle marce di Assisi, dalle bandiere arcobaleno, e da quegli onestissimi sentimenti che Marco Pannella definiva “peste del nuovo secolo”.  L’espressione è forte, ma per nulla priva di  drammaticissima logica. “Se il nazismo e il comunismo sono stati messi al bando, ebbene il pacifismo merita di accompagnarli. Niente altro nella storia del Novecento ha prodotto così tanti morti”. Diceva proprio così Pannella, non violento e dunque non pacifista, il leader radicale che spiegò in più occasioni che il pacifismo si sviluppa dove c’è libertà, sovrabbondanza di democrazia, informazione, tolleranza. Non certo dunque nei paesi dittatoriali e autocratici. Quelli infatti il pacifismo non sanno nemmeno cosa sia, e se anzi vedono un pacifista gli sparano o lo arrestano.

 

Proprio come succede in Russia, da ben prima di Putin. E dunque ecco il tragico ruolo storico dei pacifisti in occidente, spiegava Pannella. La loro micidiale funzione è quella di rallentare la reazione della democrazia, la presa di coscienza del pericolo mentre il tiranno, che della pace se ne infischia, avanza e si rafforza. E’ infatti il pacifismo che consente a Hitler di prendere la Cecoslovacchia. E’ il pacifismo che consente l’invasione della Crimea, che rallenta gli aiuti alla resistenza ucraina, che obbietta, si appella, fa tentennare i Chamberlain d’Europa. Eppure, persino Giovanni Paolo II aveva ben spiegato, al tempo della guerra nei Balcani, che il pacifismo è a volte in contrasto con il progresso della pace. La storia delle relazioni internazionali è fatta di guerre, e la pace va difesa con le armi perché rappresenta la guerra in riposo.

 

Non si può scegliere di non scegliere, come si illusero di fare i pacifisti che nel 1939 gridavano nelle strade di Parigi di non voler morire per Danzica e poi caddero tutti per la difesa della Francia, dell’Europa e del mondo civile. Il passato e il presente danzano orribilmente intrecciati, come si vede. Basterebbe rileggere alcune pagine di Carlo Mazzantini, quelle di “A cercar la bella morte”, quando  racconta dei ragazzi che scrivevano sui muri di Trastevere: Non volemo né tedeschi né americani. Diceva sempre Pannella: “Una volta manifestavano per la patria, oggi  per la pace. Certo che sono in buona fede, ma anche i figli della Lupa erano in buona fede”. Ieri, come oggi, in questo groviglio ci sono poi quelli che si arrampicano proprio su questa  buona fede, perché sperano di lucrare. E magari obiettano al mattino, su Twitter, mentre votano per le armi la sera in Parlamento. Ogni riferimento a Conte e Salvini è casuale. Buon Primo maggio.     
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.