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Zelensky è lo specchio di ciò che l'Italia ha rischiato di essere

Claudio Cerasa

Il nostro paese era stato preso in ostaggio da un’ideologia politica tossica e trasversale, veicolata dal M5s e dalla Lega e ha rischiato di essere una nazione di utili idioti del putinismo. Elogio di un Parlamento convertito

Nel discorso che terrà stamattina alle Camere, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, offrirà molti traumatici spunti di riflessione per provare a mettere a fuoco le due linee rosse più importanti emerse durante la guerra in Ucraina.

La prima è quella che Vladimir Putin ha scelto di oltrepassare con lo strumento della violenza, mettendo le bombe del suo esercito al servizio di un’ideologia imperialista.

La seconda linea rossa è quella che l’occidente libero ha scelto di non superare ponendo dei limiti espliciti all’utilizzo della sua forza nella difesa dell’Ucraina.

 

In questi giorni, nel corso degli interventi offerti al Parlamento inglese, al Congresso americano, al Bundestag tedesco e alla Knesset israeliana, le due linee rosse sono state mostrate con forza dal presidente ucraino, anche a costo di mettere i parlamenti ospitanti di fronte ai limiti delle proprie azioni. A differenza però dei precedenti interventi, quello di oggi alla Camera offrirà involontariamente alla classe dirigente politica un elemento ulteriore di riflessione che coinciderà con un’altra linea rossa che l’Italia ha rischiato di superare all’inizio di questa legislatura.

Zelensky, oggi alla Camera, metterà in modo crudo, di fronte agli occhi degli utili idioti del putinismo, lo specchio di quello che l’Italia ha rischiato di essere all’indomani del 4 marzo 2018. Quando un paese fondatore dell’Europa è stato preso letteralmente in ostaggio da un’ideologia politica tossica e trasversale, veicolata dal M5s e dalla Lega, il cui fine ultimo era quello di utilizzare ogni arma possibile dell’arsenale antisistema per provare a colpire con violenza gli ingranaggi dell’Europa, delle società aperte e delle democrazie liberali. Un po’ per questioni squisitamente legate ai rigidi algoritmi imposti dall’agenda anticasta (i nemici dei miei nemici, ovvero l’Europa, sono i miei amici, e tra questi amici c’era anche la Russia di Putin). E un po’ invece per questioni oscenamente legate alla volontà strategica di stravolgere per sempre le coordinate internazionali del nostro paese.

Eppure, per quanto possa essere doloroso contare il numero di parlamentari che oggi non parteciperanno all’incontro virtuale con Zelensky e per quanto possa essere allarmante misurare i silenzi con cui alcune forze politiche hanno scelto di accogliere le minacce rivolte dalla Russia contro il nostro ministro della Difesa, la verità è che rispetto al conflitto in Ucraina l’Italia che oggi si specchia di fronte a Zelensky vede più virtù che vizi.

Vede un paese in cui i partiti che avrebbero volentieri messo l’Italia fuori dalla Nato, oltre che dall’euro, hanno via via marginalizzato le posizioni più estremiste. Vede un paese in cui il numero di partiti non ostili all’invio di armi in Ucraina numericamente non ha eguali in Europa. Vede un paese in cui un ex presidente del Consiglio che aveva esordito come capo del governo promettendo alle Camere di essere “fautore di un’apertura verso la Russia” e che oggi si dice favorevole a usare tutte le sanzioni necessarie da mettere in campo per fermare Putin. Vede un paese in cui persino i partiti che si trovano all’opposizione, vedi il caso di Fratelli d’Italia, hanno scelto di prendere posizione contro il putinismo e a favore dell’atlantismo. Vede un paese che pur essendo in Europa uno dei più dipendenti dalle fonti energetiche russe ha scelto di scommettere sulla creatività rimettendo in discussione alcuni tabù del passato per diversificare nel breve termine le sue fonti di approvvigionamento energetico. Quattro anni fa, la maggioranza delle forze politiche italiane si sentiva più a suo agio a Mosca che a Bruxelles.

Quattro anni dopo, la maggioranza delle forze politiche italiane ha scelto di fare tutto il possibile per combattere Putin. I distinguo ci sono e la perfezione è lontana. Ma rispetto all’investimento fatto da Putin sull’Italia appena quattro anni fa la Russia che si specchia nei suoi pupilli italiani ha ragione a essere delusa.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.