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Dalle rinnovabili al nucleare. Così Franceschini (ed Emiliano) sabotano l'agenda di Cingolani

Valerio Valentini

I dinieghi del ministro della Cultura e della regione Puglia bloccano altri otto impinati eolici e fotovoltaici. Le baruffe a Palazzo Chigi finiscono in un nulla di fatto. E al Mite valutano, tra gli scenari emergenziali legati alla guerra, anche un ritorno al nucleare

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La situazione è grave, se è vero che al Mite hanno elaborato, tra i vari scenari, anche uno di quelli che per ora Roberto Cingolani si rifiuta di valutare seriamente, e cioè la ripresa delle attività nella centrale nucleare di Trino Vercellese. E però, come spesso succede, la situazione pur essendo grave non è seria, se neppure la guerra e il rischio di razionamento dell’energia valgono a superare le consuete resistenze del ministero della Cultura sull’installazione di nuovi impianti per le rinnovabili. L’ennesima puntata di questa saga di dubbio gusto, l’ultima baruffa di una tenzone ormai perenne tra Cingolani e Dario Franceschini è andata in scena a metà febbraio. Solito copione: il ministro della Transizione ecologica che scalpitava per avviare finalmente i lavori di insediamento di impianti eolici e fotovoltaici, e il titolare della Cultura, custode supremo del verbo delle soprintendenze, che opponeva il suo diniego. Tutto come sempre, appunto, se non per il fatto che i carriarmati di Putin erano già sul confine ucraino e Mario Draghi da settimane teneva contatti diplomatici con Usa e Qatar per trovare alternative alla dipendenza italiana dal gas russo. E dunque si pensava che quei dieci impianti rimasti da troppo tempo in attesa dell’autorizzazione relativa alla valutazione d’impatto ambientale (Via) ottenessero finalmente un bollino verde. Macché. Alla fine, in un gioco d’illusionismo burocratico condotto tra Franceschini e Michele Emiliano, tutto s’è impantanato un’altra volta.

Ben otto di quei dieci impianti eolici e fotovoltaici, infatti, riguardano la regione Puglia. Cingolani sperava di vederli sbloccati, e non a caso si era rivolto a Palazzo Chigi. Che infatti già nel dicembre scorso, di fronte al perdurare di barocchismi assurdi, aveva deliberato il superamento dei dissensi per sei impianti (350 megawatt nel complesso): di fatto, una procedura emergenziale con cui il Cdm può aggirare i dinieghi di singoli dicasteri o enti locali introdotta non a caso nel decreto sulla governance del Pnrr. 

Stavolta, il sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli, aveva tentato una via negoziabile meno traumatica. Perché Franceschini, nelle riunioni preparatorie d’inizio febbraio, aveva spiegato le sue ragioni ma aveva pure offerto una possibile soluzione: ché lui, da ministro della Cultura, non poteva che accogliere le osservazioni dei suoi uffici, e però, se in Cdm ci fosse stata compattezza in senso contrario, lui non avrebbe potuto che prenderne atto. E si era dunque arrivati a un compromesso, a metà tra il politico e il giuridico, secondo cui in sette casi sarebbero state accolte le richieste del Mite,  in tre invece il governo avrebbe confermato la contrarietà del Mic. Solo che poi, al dunque, confidando nel collaborazionismo della giunta Emiliano, dal Pd avevano chiesto un’ulteriore mediazione: cinque dinieghi e cinque consensi. Al che i tecnici di Cingolani hanno sbottato, visto che peraltro molti di quegli impianti ricadevano su aree che la stessa regione Puglia aveva considerato idonee, nel suo piano paesaggistico. Ma Franceschini non ha ceduto, e Garofoli ha preferito evitare che fosse il Cdm il luogo della risoluzione del conflitto, che non si sa mai. Tutto sospeso. Perfino in una situazione di guerra, insomma, si finisce con l’assecondare le impuntature di una burocrazia, quella pugliese, che ad esempio la sua contrarietà a un parco eolico l’ha motivata denunciando il fatto che le pale comprometterebbero la linearità dell’orizzonte sul Tavoliere. Figurarsi, dunque, cosa siano in grado di approvare gli impianti eolici offshore che il Mite vorrebbe approvare nel canale d’Otranto. 

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E  forse è anche per via di questa  contraddizione per cui a bloccare la transizione ecologica sono proprio gli ultras ecologisti, che al Mite stanno valutando ogni possibile scenario alternativo, in caso di emergenza energetica. Che non è imminente, al momento, ma che pure va presa in considerazione. E in questo scenario complicato, i funzionari di via Cristoforo Colombo hanno valutato anche costi, tempi e insidie di un’eventuale riattivazione delle centrali nucleari dismesse ormai da oltre trent’anni, come quella di Trino Vercellese. Ipotesi al momento remotissima, va detto, e non solo per la sua  complessità di attuazione. Ma anche perché Cingolani  è convinto che se  questa guerra deve spingere l’Italia a ripensare le sue scelte in materia energetica, si dovrebbe semmai sfruttare il momento per accelerare i lavori sulla frontiera più avanzata della ricerca, e dunque impegnarsi sulla realizzazione di un reattore di quarta generazione, più sicuro e  pulito, più al passo con la competizione mondiale. 
 

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