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Più Giavazzi, meno Tafazzi

La scelta di Draghi: assecondare o no il partito del debito cattivo? Parlano Tria e Padoan

Claudio Cerasa

Il ritorno della politica del piagnisteo costringe il governo a prendere una decisione complicata sullo scostamento di bilancio. Il monito di Gentiloni e il caos  bollette. Anticipare il Def? Why not

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Il coro forse lo sentite anche voi e fa più o meno così: il paese non ce la fa più, le bollette sono impazzite, la benzina non è controllabile, le imprese chiudono, i cittadini soffrono, i soldi dell’Europa rischiano di essere sprecati e la politica deve fare qualcosa, subito, fate presto, per rispondere al caro vita. Non lo chiede l’Europa, ma lo chiede il buon senso. I problemi ci sono, ovviamente, e mai come oggi il coro ha buone ragioni per chiedere alla politica di reagire, di assecondare la crescita, di non minare la fiducia e di non sprecare i soldi dell’Europa. Ma l’Italia che oggi si presenta ai blocchi di partenza della stagione del post emergenza pandemica è un’Italia che, senza le giuste precauzioni, rischia di essere dominata da un’agenda più simile a quella targata Tafazzi che a quella targata Giavazzi. E il rischio di fronte al quale si trova oggi il nostro paese lo ha messo nero su bianco ieri il commissario all’Economia Paolo Gentiloni: “L’economia europea è a un bivio. Potremmo tornare alla situazione pre pandemica fatta di bassa crescita, disuguaglianze sociali e fragilità ambientale, oppure possiamo costruire una nuova strada basata su una crescita duratura, sostenibile e giusta. Credo che sceglieremo la seconda opzione”. Gentiloni è ottimista, ma la piega che ha imboccato il dibattito politico, e in particolare quello dei partiti, non promette nulla di buono ed espone l’Italia a un rischio: mettere una ripresa solida (più 6,5 per cento nel 2021, più 4 per cento del pil nel 2022), una finanza pubblica sostenibile (gli spread salgono, sì, ma salgono in tutta Europa), una disoccupazione meno preoccupante del previsto (nessun boom di licenziamenti dopo lo sblocco), una vendita al dettaglio che cresce più del pil (dati Istat di ieri: più 7,9 per cento), un debito pubblico che cala un po’ prima  del previsto (a novembre il debito è diminuito di 16 miliardi) nelle mani pericolose di una politica del piagnisteo.

 

Una politica che, come accadeva prima della pandemia, chiede solo più soldi, proponendo di fare solo più deficit, camuffa da debito buono il vecchio debito cattivo e prova a convincere il governo che i problemi gravi che si devono affrontare non possono essere risolti con formule diverse rispetto al vecchio “scostamento di bilancio”. Immaginare un Draghi desideroso, per gestire il quieto vivere, di assecondare le richieste dei partiti sarebbe difficile e sarebbe come immaginare un  improbabile passaggio del governo dalla fase della rivoluzione possibile a quella ordinaria della gestione degli affari correnti. Più facile invece immaginare un no, semplice e chiaro, al ritorno del marchettificio, stanziando soldi per intervenire sulle bollette, certo, ma, come si dice, “a conti invariati”. Magari arrivando ad approvare il Def a marzo, anticipandolo di qualche settimana rispetto alla scadenza del 15 aprile. Anticipare il Def a marzo, concorda con noi l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, sarebbe un segnale prezioso, “darebbe l’idea che il governo ha intenzione di fare tutto il necessario per mantenere saldo il controllo della finanza pubblica”.

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Lo stesso sostiene l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria. “L’Italia, come altri paesi, si trova in una situazione particolare: deve pagare di più l’energia, le materie prime e altri beni importati che oggi hanno un costo maggiore. In questo scenario qualcuno dovrà ridurre i propri redditi se non si vuole una spirale prezzi-salari. Lo stato può mediare ma senza ricorrere a ulteriore debito. Si potrebbe, per esempio, allentare la domanda laddove i prezzi salgono troppo: i margini per ricadenzare il Pnrr ci sono. Se poi si vuole tagliare, riducendo la componente tasse, il costo dell’energia, beh, le strade sono due: tagliare qualcosa da un’altra parte o mettere più tasse da qualche altra parte. Ragionare sullo scostamento significa che alla fine la botta, per così dire, verrà generalizzata e assorbita dai tassi di interesse: è la cosa peggiore. Mi chiedo: ho evitato io, da ministro, di aumentare il deficit previsto, con un governo in cui era difficile prendere una decisione del genere. Non vedo una sola ragione per cui non si possa fare oggi una scelta di questo tipo: togliamo le mascherine, sì, ma mettiamo una mascherina al debito. Non mi pare impossibile, no?”. 

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