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La necessità di un muro anti populista

Paolo Cirino Pomicino

Proporzionale con riforma dei finanziamenti ai partiti. L’antipolitica si batte così

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Sotto gli occhi degli italiani è apparsa nella scorsa settimana in cui si doveva eleggere il capo dello stato la dissoluzione del sistema politico italiano. Una dissoluzione che in verità camminava a passi spediti da oltre 20 anni e della quale spesso abbiamo avuto occasione di parlare. La seconda repubblica nacque con le elezioni politiche del 1994 e all’insegna di due presunte rivoluzioni culturali: il superamento delle “maledette identità”, come scrisse in un libriccino un autorevole opinionista, e una stabilità politica diversa e  alternativa ai fragili governi della DC. Questo programma “rivoluzionario” si accompagnava a un sistema maggioritario il cui unico obiettivo era spaccare i democristiani come mi spiegavano, all’epoca, autorevoli amici comunisti in tanti colloqui privati.

A distanza di 26 anni abbiamo visto in diretta televisiva le macerie di una politica che negli ultimi cinque anni non è riuscita a scegliere un parlamentare per guidare uno dei tre governi della attuale legislatura e men che meno il presidente della repubblica rifugiandosi nella positiva conferma di Sergio Mattarella. I due obiettivi “rivoluzionari” intanto sono stati raggiunti. Le identità culturali e politiche di tutti sono scomparse e altrettanto il sistema proporzionale con le maledette preferenze mentre c’è stata l’esplosione dei partiti personali esaltati da una serie di opinionisti negli anni novanta. I risultati di questa “rivoluzione” sono stati drammatici sul piano politico oltre che su quello economico e sociale (crescita dello 0,8% di media ogni anno, povertà raddoppiata, tasso di disoccupazione aumentato del 50% e crescenti disuguaglianze).

Abbiamo avuto in 26 anni 16 governi e ben sette volte è cambiata la maggioranza parlamentare che sosteneva i relativi governi producendo così una instabilità politica mai vista nei primi quarant’anni della Repubblica nel mentre in parlamento i partiti si frantumavano raddoppiandosi di numero (18 ad oggi). Negli Stati europei quelle maledette identità non solo hanno resistito, anche se con affanno, ma governano ancora oggi le rispettive popolazioni e in larga prevalenza con democrazie parlamentari che hanno tutte un sistema elettorale proporzionale variamente corretto. Queste democrazie europee non hanno mai chiamato a governare persone estranee al Parlamento, noi lo abbiamo fatto in 26 anni ben 6 volte (Ciampi, Dini, Monti, Conte,Conte, Draghi).

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Questi i fatti e gli avvenimenti che dovrebbero consigliare di ripristinare tutto ciò che una strana esigenza dei primi anni novanta del secolo scorso buttò a mare con il sostegno di opinionisti, intellettuali, politici e giornalisti. Quella strana esigenza era di portare al governo i vinti della storia, cioè i comunisti, e per poterlo fare bisognava spiegare che i vincitori erano corrotti e mafiosi. Fu così che i comunisti italiani giunsero al potere nel momento in cui era crollato il comunismo internazionale. Affidando agli storici le responsabilità del passato, oggi per salvare il paese c’è bisogno di una comune confessione, anche solo con se stessi, per recuperare identità, democrazia nei partiti con leadership contendibili, finanziamento pubblico della politica e un sistema proporzionale con soglia e preferenze. Senza questa cornice niente sarà possibile e l’Italia difficilmente potrà ritrovare quel ruolo e quel benessere che aveva sino al 1992 nonostante gli attuali sforzi di Mattarella e Draghi. 

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