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passeggiate romane 

Casini tace e Amato non va. Nel caos del Colle, il più papabile resta Draghi

Non solo ogni leader è convinto di fare il kingmaker del prossimo presidente della Repubblica, ma sono in diversi che si sognano già nei panni del prossimo capo dello stato. Velleità e vanità della politica italiana in cerca di un candidato

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Velleità e vanità sono il pane quotidiano della politica italiana. Non solo ogni leader (ma anche chi leader non è nutre le stesse ambizioni) è convinto di fare il kingmaker del prossimo presidente della Repubblica, ma sono in diversi che si sognano già nei panni del presidente della Repubblica.
 
In questo scenario, ieri ha subìto una battuta d’arresto il progetto del cosiddetto partito cinese (così ribattezzato nel Transatlantico di Montecitorio): Giuseppe Conte, Goffredo Bettini e Massimo D’Alema. Infatti la loro idea di convincere Matteo Salvini ad appoggiare Giuliano Amato al Quirinale con la promessa che poi l’ex esponente socialista da capo dello stato, in caso di vittoria del centrodestra, gli avrebbe conferito l’incarico garantendo per lui con l’Europa sembra alquanto aleatoria. Primo, perché maggiore garanzia, in quel frangente, la potrebbe dare Mario Draghi. Secondo perché dopo le parole di Goffredo Bettini al Corriere della Sera in cui l’esponente dem ammetteva le debolezze di Conte, nei 5 Stelle è scoppiato il pandemonio. Ne sarà contento Amato che nel suo ufficio al palazzo della Consulta aveva già avviato una serie di consultazioni informali.

 

Ma anche gli altri aspiranti kingmaker non vivono ore felici. Enrico Letta pensava di riuscire a spianare la strada a Draghi convincendo Salvini a mettere in piedi un nuovo governo con più posti per i politici. Ma anche sull’esecutivo che non c’è e che non si sa se verrà mai ci sono tensioni. Il leader della Lega vuole imbarcare dentro Giorgia Meloni, perché teme la concorrenza a destra di Fratelli d’Italia in vista delle prossime elezioni politiche. Ma sia i dem che i 5 Stelle hanno fatto sapere che dentro i loro gruppi potrebbe scoppiare le polemiche all’idea di una maggioranza allargata anche a Meloni.
 
Peraltro, anche sul nome del presidente del Consiglio c’è un problema. I dem vorrebbero fare bingo mettendo uno dei loro. Ma trascurano il fatto che in Parlamento non hanno i numeri. I turbamenti degli aspiranti kingmaker non si esauriscono certo qui. Un pezzo dei dem ha sondato Matteo Salvini per capire se il leader della Lega sarebbe disposto ad appoggiare l’elezione di Paolo Gentiloni al Quirinale in cambio di un esponente di area al posto di commissario europeo. Impresa improba. Innanzitutto perché il diretto interessato, cioè Gentiloni, non sta certo smaniando per il Quirinale e poi perché far votare al centrodestra un dem al Colle è veramente dura.

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Mentre i leader si affannano a trovare una soluzione accontenti tutti e che non sembra a portata di mano (perché la più ovvia rimane sempre la stessa, ossia Mario Draghi al Quirinale), Pier Ferdinando Casini continua a scegliete la tattica del silenzio e non dispera. C’è poi Matteo Renzi che lascia intendere di poter votare una personalità del centrodestra come Letizia Moratti o Marcello Pera (sponsorizzato quest’ultimo da Denis Verdini) . I 5 Stelle però non sono disposti a questo sacrificio e il Pd non si può permettere di votare per un candidato di centrodestra rompendo con i grillini. Alla fine della festa, gli stessi che nel Pd come nei 5 Stelle non vorrebbero Draghi a meno di una settimana dal voto del successore di Sergio Mattarella  sono costretti ad ammettere: “Per come si sono messe le cose è questa la soluzione più plausibile”.

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