(foto Ansa)

lo scenario

La corsa quirinalizia del Cav. spinge Salvini e Meloni in un inconsueto bagno nella politica della normalità

Claudio Cerasa

Un nome, un’identità, una base. Il centrodestra ha quel che non hanno gli altri. Ecco perché sabotare l'operazione Berlusconi potrebbe essere un problema anche per i leader di Lega e FdI

Cucù. A dieci giorni dal primo voto per eleggere in Parlamento il successore di Sergio Mattarella, c’è una piccola e sorprendente verità che merita di essere illuminata e che dovrebbe essere ammessa anche da tutti coloro che per varie ragioni considerano il centrodestra italiano un’accozzaglia senza futuro e senza identità. Quella verità, che più che sorprendente forse meriterebbe di essere definita sbalorditiva, riguarda un fatto politico inaspettato che sta maturando all’ombra della pazza candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale. Un fatto che in modo brutale potremmo provare a sintetizzare così: l’improvviso e imprevisto tuffo del centrodestra nell’inconsueto mare della normalità. Può piacere o no, ma per la prima volta da molto tempo a questa parte il centrodestra, nella sua interezza, è lì che – almeno formalmente – si presenta unito, compatto e solido e giorno dopo giorno, misurando anche le paure degli avversari, dimostra di avere quello che gli altri non hanno: un nome su cui scommettere, un’identità da difendere, una base parlamentare da cui partire.

Salvini e Meloni, a differenza di Berlusconi, non credono che la candidatura di Berlusconi possa diventare qualcosa in più di una prova di forza del fu Cavaliere (anche se sarà molto difficile tenere lontano il Cav. dalla quarta votazione di giovedì 27 gennaio). Ma la compattezza mostrata almeno finora dal centrodestra (ieri il leader della Lega ha confermato quello che confermerà oggi la coalizione alla fine del vertice di centrodestra, ovverosia che il candidato per il Quirinale è uno e si chiama Silvio Berlusconi) sta producendo a cascata degli effetti benefici sulle leadership sia di Giorgia Meloni sia di Matteo Salvini. Il primo effetto benefico lo ha sperimentato sulla sua pelle Giorgia Meloni, che nel giro di poche settimane ha registrato nei suoi confronti un cambio molto significativo di atteggiamento da parte degli avversari. E se il Pd, tanto per fare un nome, ha cominciato a considerare Fratelli d’Italia non più un partito da escludere dall’arco repubblicano – come chiedeva a ottobre il vicesegretario del partito Peppe Provenzano – ma un partito con cui costruire un rapporto per eleggere il prossimo capo dello stato, lo si deve anche alla volontà da parte degli avversari del centrodestra di fare quello che oggi né il Pd né il M5s riescono a fare: disarticolare la coalizione.

Il secondo effetto benefico lo ha sperimentato sulla sua pelle Matteo Salvini, che nonostante la sua predisposizione naturale ad affrontare le partite molto complesse in modo straordinariamente superficiale, è riuscito a resistere alla tentazione di sparare nomi da post mojito per la battaglia quirinalizia e si è ricavato, riallacciando i rapporti persino con Giuseppe Conte, uno spazio politico interessante per provare a diventare in Parlamento l’interlocutore di riferimento dei suoi avversari per la costruzione, nel caso non remoto della bocciatura della candidatura del Cav., del piano B. Difficile dire oggi a cosa corrisponda il piano B, anche se le strade che continuano a portare dritte al piano D, nel senso di piano Draghi, sono maggiori rispetto a quelle che portano a qualsiasi altro piano. Più facile dire che in un contesto internazionale dominato da destre irresponsabili alla Bolsonaro, destre estremiste alla Le Pen, destre in confusione alla Boris Johnson, destre affascinate dall’eversione del modello Trump, avere un centrodestra costretto a un improvviso e imprevisto tuffo nell’inconsueto mare della normalità è una notizia tanto sorprendente quanto positiva. E se è vero che il centrodestra presentabile è quello che si accoda al Cav. è anche vero che chi si augura che Salvini e Meloni possano sabotare l’operazione Cav. al Quirinale potrebbe aver fatto male i conti e potrebbe non aver calcolato che per Salvini e Meloni sabotare la candidatura del Cav., cucù!, oggi significa sabotare anche se stessi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.