Mario Draghi (Ansa)

La misura

La proroga dello stato d'emergenza non ingabbierà Draghi

La garanzia che tutto il Parlamento cerca non passa dal suo “sequestro” ma dalla sua “liberazione”.

Carmelo Caruso

Il premier decide di portare in Cdm la proroga fino al 31 marzo ma non accetta che questa decisione venga collegata con il suo futuro. Draghi al Colle potrebbe essere la garanzia che i parlamentari cercano per non andare al voto

Esce dall’incontro e dice: “E’ necessario prorogare lo stato d’emergenza”. Aggiunge: “Salvo”, “e però”, se “gli esperti”. Ieri mattina, Giuseppe Conte è stato ricevuto da Mario Draghi e appena fuori ha scelto di iscriversi anche lui al gruppo “forza emergenza”. E’ un gruppo che oggi in Cdm dovrà esprimersi sulla proposta di proroga fino al 31 marzo. Passa dunque la decisione di dire sì a una scelta che “non può essere un’astuzia della politica” ma solo un modo “per mantenere dei presìdi sanitari. Non va strumentalizzata”

 

Attenzione, ci sono partiti che stanno infatti caricando questo bisogno d’emergenza per trattenere il premier a Palazzo Chigi e che vogliono riempire questo prossimo decreto di significati nuovi. Innanzitutto perché si proroga? “Perché se dobbiamo convivere con il virus è giusto dotarsi di una governance. La proroga è solo un modo per arrivarci in primavera”, dicevano ieri sera dal governo. Una parte politica, soprattutto di centrosinistra, pensa invece che con “lo stato d’emergenza in corso” sia più facile chiedere a Draghi di restare al suo posto. Lo chiamano il “sacrificio”. E’ qualcosa che Palazzo Chigi non sopporta perché tende a confondere.

 

A sera si separava quindi la sanità dalla speculazione partitica e si puntualizzava che “collegare la proroga con il futuro del premier è quanto di più scorretto si possa fare”. Nelle intenzioni del governo dovrebbe dunque essere solo uno strumento di sicurezza e necessiterà in futuro un ulteriore provvedimento, più articolato. Serve dirlo? Sì,  serve perché l’insistenza dei partiti (proroghiamo!) ha risentito, e anche troppo, di ragionamenti elettorali. L’equazione (sbagliata) è: “Se c’è l’emergenza Draghi deve rimanere al governo”. Ma che c’entra?

 

Non tutti sono d’accordo alla proroga, la Lega, ad esempio, si oppone. Il presidente della Conferenza stato-regioni, Massimiliano Fedriga, si è espresso contro. Il centrodestra, che sta ritrovando una sua centralità, è sempre stato refrattario a questa pratica. Intanto, e sempre ieri, il governo ha dovuto smentire, e lo ha fatto Draghi, la notizia che ci sia stato lo scippo, che i soldi alla disabilità siano stati sottratti per contenere l’aumento delle bollette. Non sono stati tolti fondi, non c’è stata nessuna grande rapina, la più miserabile, ci sono invece 6 miliardi nel Pnrr che andrebbero spesi e si spera bene.

 

Lo stato d’emergenza, piegato a letture che nulla hanno a che vedere con la pandemia, e questa ultima impostura raccontata, sono segni di un cammino che si vuole ostacolare. Non c’è solo il grande dibattito sullo stato d’eccezione. La manovra va approvata ma i partiti la stanno tenendo aperta per rilanciare. Ieri, Conte agitava una sua bandiera: “Chiediamo il Superbonus per il 2022”. Salvini rispondeva: “Chiediamo l’abolizione del codice degli appalti”.

 

Sta accadendo quello che solitamente accade ogni anno: è la corsa alle mance, si posiziona l’emendamento da strapaese, si afferra la manovra e se ne strappa un pezzo per poterlo sempre vendere ai propri elettori. Non ci sarebbe nulla di nuovo se non cadesse nell’anno del Quirinale. Ci si avvicina alla più importante elezione e il vero grande elettore è la paura. Tra gli incontri che ha avuto ieri Draghi ce n’è uno a cui si tende a dare meno importanza ma che ha invece un suo speciale peso. E’ quello che il premier ha avuto con Maurizio Lupi, presidente di Noi con l’Italia. E’ l’anima del gruppo Misto, un gruppo che chiede stabilità.

 

E’ un corpo che inciderà nella successione di Mattarella tenendo conto dei suoi numeri. Quello che tutti attendono è “la promessa”. Ciò che renderebbe infatti semplice questa elezione è qualcosa che Draghi non può dire ma che è il primo, c’è da scommetterci, a pensare. E’ la promessa di avere un governo (anche senza Draghi) fino al 2023, di evitare elezioni anticipate. Come potrebbe non essere d’accordo chi ha tutto l’interesse a vedere completato il percorso del Pnrr? La garanzia che tutto il Parlamento cerca non passa dal suo “sequestro” ma dalla sua “liberazione”. La vera proroga di questo parlamento non si ottiene storpiando il senso dello stato d’emergenza ma stabilizzando Draghi come capo “dello” stato.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio