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L'analisi

Leonardo e Fincantieri accendono una guerriglia di governo

Valerio Valentini

Bono e Profumo si fanno i dispetti, e sul caso Oto Melara si innesca una baruffa diplomatica che riguarda Usa e Francia alla vigilia dell'arrivo di Macron a Roma. Il paradosso del golden power, i tatticismi di Giorgetti e Guerini. E torna ad affacciarsi l'idea della fusione dei due colossi della Difesa

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Sul punto di principio, sono tutti d’accordo. “Serve che il governo faccia dialogare i due amministratori delegati in una logica di sistema”, dice Giorgio Mulè, di Forza Italia, sottosegretario alla Difesa. “Bisogna evitare che due aziende strategiche partecipate dallo stato si facciano sgambetti tra loro”, conviene Enrico Borghi, vicepresidente del Copasir e responsabile sicurezza del Pd, che del ministro Lorenzo Guerini è uomo fidatissimo. E però chi li ha visti battibeccare, i due, in un angolo del Transatlantico, una manciata di giorni fa, testimone anche Roberta Pinotti,  ha capito che l’accordo sui princìpi generali non basta, a risolvere l’enigma. E infatti quando oggi si riuniranno intorno allo stesso tavolo Giancarlo Giorgetti, Guerini e Daniele Franco, lo faranno tutti con la consapevolezza che difficilmente ci si alzerà con un’intesa. Tanto più che l’arrivo di Emmanuel Macron a Roma, l’incombenza della firma del Trattato del Quirinale, complica tutto ancor più: perché l’incrociarsi dell’asse atlantico con quello italofrancese,  preoccupa tutti, da Palazzo Chigi in giù.

La vicenda è nota. Leonardo vuole disfarsi di Oto Melara, il suo braccio dedito alla produzione di cannoni navali e non solo. Fincantieri offre, in via preliminare, circa 450 milioni. L’ex Finmeccanica, che ha urgenza di fare cassa entro fine anno anche per rientrare dello sforzo sostenuto sul fronte dei sensori – 600 milioni versati a Kkr, proprio quella che intanto prova a scalare Tim, per accaparrarsi il controllo della tedesca Hensoldt – si è guardata in giro per capire se ci fosse chi offriva di più: e ha trovato Knds, gruppo francotedesco, pronto a mettere sul tavolo quasi 200 milioni in più.

Fin qui, l’aspetto industriale. Poi però c’è la politica. Cioè un Pd che difende la posizione di Alessandro Profumo e un Matteo Salvini strenuo sostenitore di Giuseppe Bono. E due manager, quello di Leonardo e quello di Fincantieri, che tra loro si fanno i dispetti. Bono persegue il suo disegno ambizioso di creare un polo unico della difesa, vantando ottime entrature americane e lasciando intuire che certe iniziative di Leonardo, come quella di entrare in competizione con Lockheed Martin sugli elicotteri di ultima generazione, rischiano di incrinare i rapporti col Pentagono; Profumo vanta la forza del fatturato della sua Leonardo, oltreché la solidità dei suoi rapporti europei. E qui dunque si viene all’altro problema. “Far entrare Knds nella supply chain della difesa italiana significa compromettere la nostra sovranità strategica”, dicono dalle parti della Lega, dove auspicano addirittura l’utilizzo del golden power da parte di Palazzo Chigi per stoppare l’operazione. Solo che al Mef, che in questo groviglio poco armonioso controlla sia il 30 per cento di Leonardo sia – attraverso Cdp – sia il 71 per cento di Fincantieri, c’è chi riterrebbe un poco imbarazzante che il governo intervenisse per difendere gli interessi nazionali dalla supposta minaccia di un’azienda di stato.

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E poi c’è l’aspetto geopolitico, della faccenda. Perché quando Guerini parla di “un presidio nazionale, aperto ad una dimensione di cooperazione europea”, intende alludere all’opportunità che alla Difesa intravedono nel non opporsi alla manovra dei franco-tedeschi così da ottenere l’accesso al progetto del nuovo carro armato europeo, in progettazione tra Parigi e Berlino. Specie alla vigilia della firma di un trattato, quello che venerdì Macron e Draghi firmeranno a Villa Madama, che anche sulla difesa prevede un rafforzamento delle sinergie tra Italia e Francia. C’è insomma un disegno comunitario. E per questo, oltre che a Knds, si guarda anche a nuove operazioni che coinvolgano anche i tedeschi di Rheinmetall e di Thyssen. Sempre che la rivalità tra Leonardo e Fincantieri non degeneri. O non induca, come nel Pd e in FI si inizia a sostenere, alla fusione tra i due colossi. Con Matteo Renzi già pronto a ricordare che lo dice da due anni.
 

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