PUBBLICITÁ

qui palazzo chigi

Le elezioni tedesche viste da Draghi

Valerio Valentini

L’intesa con Merkel da non disperdere. Lo spauracchio dei Liberali e di una Cdu di nuovo votata al rigore. L’asse con Scholz. Perché dalle elezioni in  Germania passa molto del destino del premier

PUBBLICITÁ

A ripensarci, il ricordo di quelle sere in cui, mettendo da parte il loro condiviso gusto per l’understatement, “salvammo l’euro, forse l’Europa”, ancora li tocca nel profondo. Se lo sono ripetuto anche di recente, in una chiacchierata informale, Mario Draghi e Angela Merkel. Del resto con lei, il premier italiano ha sempre potuto farlo: parlare. Anche quando, nei mesi in cui la nascita del Quantitative easing già sembrava una rivoluzione (e lo fu) e i giornali tedeschi accusavano “mr Bce” di “distruggere i nostri soldi”, in quei mesi in cui Draghi aveva coniato per il falco della Bundesbank Jens Weidmann il soprannome di “signor non se ne parla”, anche in quei mesi con “Angela” s’è sempre confrontato, magari bisticciando, certe volte perfino confidato (ricorrendo a battute che, pare, divertivano assai l’algida leader della Cdu, tipo questa: “Fare bene il proprio dovere non è una prerogativa solo tedesca, credo”).

Senza esagerare, però, se è vero che davanti a dei diplomatici tedeschi che qualche settimana fa gli chiedevano di questo rapporto così confidenziale con la cancelliera, s’è schermito: “Credo che entrambi – ha detto – avremo compagnie più care da frequentare negli anni della pensione”. E ora che quest’accidente incombe sulla vita della Merkel, Draghi si ritrova a pensare al futuro prossimo della Germania con l’ansia di chi sa che da lì passa almeno una delle due variabili del suo  destino da premier. La più insidiosa, perfino, delle variabili. Perché se la prima dipende quasi interamente dall’efficienza di chi sta a Palazzo Chigi (fare le riforme, farle bene, dimostrare ai nordici che i soldi del Pnrr non vengono scialacquati, ma fatti fruttare), l’altra ha a che fare con gli umori dell’elettorato tedesco.

 

PUBBLICITÁ

E dunque l’esito delle votazioni in Germania, dalla sua casa romana, Draghi lo seguirà con la consapevolezza che il governo che ne verrà fuori, magari dopo mesi di complicate negoziazioni, segnerà gran parte di quel “lungo cammino” che, per dirla con le parole usate dal premier in uno dei suoi primi Eurosummit a fine marzo scorso, dovrebbe portarci a “un’unione dei mercati dei capitali, un’unione bancaria completa, e un safe asset”, insomma a quella indicibile parola che suona così: Eurobond.

PUBBLICITÁ

E allora l’ideale, in linea di pura teoria, sarebbe ritrovarsi di nuovo con una donna alla cancelleria, ovvero quella Annalena Baerbock, leader dei Verdi, che in materia di fiscalità europea propugna tesi che neppure il più entusiasta dei consiglieri economici a Palazzo Chigi oserebbe sostenere: revisione del Patto di stabilità, un’unione bancaria con una garanzia pressoché incondizionata sui depositi da parte di Francoforte, la stabilizzazione del Recovery plan. Venendo però a scenari più realistici, è forse lungo l’asse tra Draghi e Olaf Scholz, che può esserci una spinta a una maggiore integrazione economica dell’Ue. Il leader della Spd, ministro delle Finanze della Merkel, fedele al suo impegno nel rassicurare gli elettori moderati, in campagna elettorale ha tenuto una posizione cerchiobottista, sul tema. Dicendo, ad esempio, che il Patto di stabilità, che d’altronde resterà sospeso per tutto il 2022, non necessita di essere attenuato nei suoi aspetti più severi, perché in fondo la pandemia ha dimostrato come vi si possa derogare in caso di necessità. Un modo per tenere aperto il dialogo anche con l’ala meno radicale della Cdu, che s’appresta a vivere, stando ai sondaggi, la prima sconfitta elettorale da sedici anni a questa parte.

 Sconfitta che però, paradossalmente, proprio i nemici dell’austerity dovrebbero augurarsi che non si trasformi in disfatta: perché a quel punto al delfino spiaggiato Armin Laschet verrebbe imputata la linea di continuità col merkelismo di ultimo tipo, quello più accomodante e centrista, e la Cdu potrebbe tornare a svoltare a destra, rifiutandosi di entrare, da socio di minoranza, nella coalizione di governo. Ipotesi che renderebbe allora inevitabile, sempre muovendosi nel campo della speculazione, il coinvolgimento dei Liberali. Che sono, nei piani di chi prospetta un’Europa meno ossessionata dai vincoli di bilancio, il vero spauracchio. E loro non a caso, nelle schermaglie pre-elettorali, hanno lasciato intendere che il senso del loro entrare nell’esecutivo che verrà starebbe proprio nel potere accaparrarsi, oltre alle deleghe sulla Sanità, quel ministero delle Finanze da cui il loro leader Christian Lindner manovrerebbe per un ritorno alla dottrina del rigore.

Difficile, certo, immaginare in questo senso un ritorno all’Europa pre-Covid. Anche perché Draghi avrebbe proprio in Emmanuel Macron, ansioso di lasciare un segno durante il suo semestre di presidenza a inizio 2022 per arrivare gagliardo alla sfida elettorale per l’Eliseo di maggio, un grande alleato sulla strada che porta al rinnovo permanente del Recovery. Ma Draghi sa bene che, senza il sostegno della Germania, qualsiasi progetto di riforma reale sarebbe monco. E non è un caso, d’altronde, che abbia voluto partecipare al recente forum della Camera di commercio italotedesca, sottolineando la solidità degli scambi commerciali tra le prime due manifatture d’Europa e lanciando un messaggio  che da un lato rassicurasse Berlino sulla consistenza dell’impegno italiano, dall’altro confutasse la retorica della minaccia teutonica. “Un’Europa più forte dal punto di vista economico, diplomatico e militare è il solo modo per avere un’Italia più forte e una Germania più forte”, ha detto.

D’ora in poi, a Bruxelles, a rafforzare questa Europa dovrà lavorare senza poter contare su quell’intesa strutturata, fatta di semplici sguardi ma anche di intenso lavoro diplomatico preliminare (chiedere a Luigi Mattiolo, arrivato a Palazzo Chigi direttamente dall’ambasciata di Berlino), con cui in questi mesi, sulla campagna vaccinale così come sulle questioni legate al debito comune, Angela e Mario hanno saputo spesso aggirare, durante summit e consigli europei, le resistenze dei sabotatori.
 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ