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Il retroscena

Durigon ammicca alla Meloni, Salvini lo coccola. Ma nella Lega scatta la protesta dei colonnelli

Valerio Valentini

L'ex sottosegretario sperava nella promozione a Via Bellerio. E ora dice: "Certo che Fratelli d'Italia a Roma ha consenso". Intanto Rixi e Bitonci litigano per il suo posto al Mef. E Volpi diserta il Copasir. La mappa del malcontento nel Carroccio

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Lui, a sentirsi riportato il pettegolezzo, lo liquida come si fa con le maldicenze. E insomma Claudio Durigon ai suoi confidenti dice che no, che ci mancherebbe altro, che semmai “qualcuno ci spera, qualcuno nella Lega ci godrebbe a vedermi andare via”. Andare dove, esattamente? Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, giorni fa faceva spallucce: “Non mi risultano scossoni imminenti. Ma se altri dovessero ritenere di condividere le nostre posizioni, non potremmo che compiacercene”. L’indiscrezione insomma è di quelle succulente: Durigon, l’uomo forte del salvinismo in terra laziale, colui che all’erede di Bossi ha indicato le vie d’accesso al centrosud, starebbe meditando il grande addio, il trasferimento armi e bagagli dalle parti di Giorgia Meloni. Fatale, evidentemente, sarebbe stato in questo senso lo smacco subito, quelle dimissioni che, dopo lunga ma poco convinta difesa, Matteo Salvini gli ha imposto dopo il suo scivolone sul parco Mussolini, con quel che ne è conseguito. Costretto a lasciare il Mef, il non più sottosegretario sperava allora nel restituzione dell’onore come vicesegretario, nel senso del partito. Solo che al consiglio federale di lunedì scorso, l’atteso annuncio non è arrivato. E anzi, Durigon s’è dovuto anche subire il ghigno di quel Giancarlo Giorgetti con cui i rapporti personali sono quelli che sono, che s’è giustificato dicendo che no, che lui non ha mai inteso sfavorire il compagno di partito dicendo che “quando si hanno responsabilità di governo bisogna stare molto attenti quando si parla”. 

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Lui, a sentirsi riportato il pettegolezzo, lo liquida come si fa con le maldicenze. E insomma Claudio Durigon ai suoi confidenti dice che no, che ci mancherebbe altro, che semmai “qualcuno ci spera, qualcuno nella Lega ci godrebbe a vedermi andare via”. Andare dove, esattamente? Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, giorni fa faceva spallucce: “Non mi risultano scossoni imminenti. Ma se altri dovessero ritenere di condividere le nostre posizioni, non potremmo che compiacercene”. L’indiscrezione insomma è di quelle succulente: Durigon, l’uomo forte del salvinismo in terra laziale, colui che all’erede di Bossi ha indicato le vie d’accesso al centrosud, starebbe meditando il grande addio, il trasferimento armi e bagagli dalle parti di Giorgia Meloni. Fatale, evidentemente, sarebbe stato in questo senso lo smacco subito, quelle dimissioni che, dopo lunga ma poco convinta difesa, Matteo Salvini gli ha imposto dopo il suo scivolone sul parco Mussolini, con quel che ne è conseguito. Costretto a lasciare il Mef, il non più sottosegretario sperava allora nel restituzione dell’onore come vicesegretario, nel senso del partito. Solo che al consiglio federale di lunedì scorso, l’atteso annuncio non è arrivato. E anzi, Durigon s’è dovuto anche subire il ghigno di quel Giancarlo Giorgetti con cui i rapporti personali sono quelli che sono, che s’è giustificato dicendo che no, che lui non ha mai inteso sfavorire il compagno di partito dicendo che “quando si hanno responsabilità di governo bisogna stare molto attenti quando si parla”. 

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E così, quando l’altro giorno Durigon ha diramato un comunicato criticando l’attendismo del governo su Alitalia, in tanti c’hanno visto una bordata contro il ministro dello Sviluppo. Ed ecco montare il sospetto, allora: Durigon verso FdI? Lui per ora si dedica anima e corpo alla campagna elettorale romana. E chi gli sta vicino dice che semmai l’equivoco proprio da lì è nato: nel senso che il leghista, discutendo coi suoi amici, s’è sfogato dicendo che girando per i mercati capitolini si tocca con mano quanto il consenso della Meloni sia in ascesa, “anche perché loro stanno all’opposizione e lì è tutto più facile”. Una rassicurazione, insomma, che dice di un malumore reale. E non è un caso che infatti Salvini, per scongiurare un rischio che vuole esorcizzare, ha già fatto sapere che nelle piazze di Roma, di qui a ottobre, non ci sarà occasione in cui Durigon non sarà con lui, in prima fila. 

Del resto l’intendenza col nemico non è che la più estrema tra le varie forme che prende l’insofferenza dei colonnelli del Carroccio. Perché ad esempio Raffaele Volpi ha scelto una protesta più silenziosa: l’ammutinamento. E, da quando è stato costretto a lasciare la guida del Copasir al meloniano Adolfo Urso, ha smesso di partecipare ai lavori del Comitato. Sembrava una ripicca di mezza estate. E invece anche le audizioni di questa settimana di Franco Gabrielli e Stefano Pontecorvo, il responsabile dei Servizi di Palazzo Chigi e l’ambasciatore Nato a Kabul, hanno registrato la latitanza dei leghisti Volpi e Arrigoni.

E infine c’è la più sotterranea, delle baruffe. Quella che si consuma proprio intorno alla successione di Durigon. Per il posto di sottosegretario al Mef gli indiziati sono due, ciascuno con la sua fazione a sostegno. Da un lato Massimo Bitonci, padovano che quel ruolo lo ha già ricoperto nel Conte I. Dall’altro Edoardo Rixi, che rivendica il diritto a un risarcimento, lui che in epoca di grilloleghismo fu costretto a lasciare il Mit per la furia forcaiola del M5s su una condanna in primo grado per presunti rimborsi gonfiati da cui poi, nel marzo scorso, è stato assolto in appello. Solo che a quel punto i veneti, che già lamentano una sottovalutazione al governo della loro Liga, rappresentata dalla sola Erika Stefani al ministero delle Disabilità, a vedersi surclassati dai liguri – che già vantano Stefania Pucciarelli alla Difesa – sarebbero pronti alla sedizione di massa. Con Luca Zaia che forse non si spenderebbe troppo, per tranquillizzarli. 

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