Memorie (a cinque stelle) di Adriano

Carmelo Caruso

L'ex premier ha scelto il Tempio di Adriano, il filosofo delle fine di tutto, per la sua conferenza stampa rivelatrice. Ma non annuncerà né il divorzio né la riappacificazione, presenterà il suo “memoriale”, le sue condizioni a Grillo

Memorie di un vaffa. Sarà perché si chiama “di Adriano”, sarà perché Bruno Vespa ci presenta ogni anno le sue “strenne natalizie”, ma se tutto deve finire è giusto che finisca in questo tempio che è appunto dell’imperatore più malinconico e colto, il filosofo delle fine di tutto: anima vagula e blandula… (riprendere Marguerite Yourcenar). Luigi Di Maio, qui, si strappò la cravatta citando nientemeno che il libro di Mariarosa Schiaffino (“Elogio…”; cercatelo tra i libri usati) regalo di quel Gianroberto Casaleggio (“lo colpiva il mio indossarla sempre”) che a Roma non voleva mai venire, un po’ come Alessandro Manzoni che, da gran lombardo, non voleva oltrepassare Firenze.

 

Fu l’inizio della liberazione di Di Maio, “che fatica fare il leader”, la lunga marcia verso la medaglia Beppe Grillo: “Questo è il più bravo ministro degli Esteri di sempre”. Che tempi(o)! Giuseppe Conte per la prima volta, (“ma chi è?”) si presentò (e lo fece anche lui qui) al movimento con la frase verità: “Non vi ho mai votato ma per me è un onore essere con voi”. Faceva ancora l’avvocato, il socio del professore Guido Alpa. Sognava la cattedra e non immaginava il Recovery: “Hello, Ursula”. Era ancora il fantagoverno M5s, siamo nel 2018, e c’erano nientemeno che ministro dell’Economia, Andrea Roventini, Paola Giannetakis agli Interni e poi lui, Conte, ma “solo” alla Pa. E ancora qui, nella piazza che i francesi credono essere la più bella di Roma, all’interno di queste “caves” (Andrea Camilleri quasi cieco volle presentare uno dei suoi ultimi libri, il più intimo “La casina di Campagna”, edizioni Henry Beyle) il ministro degli Esteri raccontò (era il 2020) che il movimento stava per cambiare. Arrivavano i facilitatori, tutti “giovani e belli” come le canzoni di Guccini. Spettatori pochi, scenario da convention. Era già crisi e stava per esaurirsi il suo sogno di mezzo autunno.

 

 

L’appuntamento è invece oggi per le 17,30 e da quel che si capisce Conte non annuncerà né il divorzio né la riappacificazione ma presenterà il suo “memoriale”, le sue condizioni a Grillo. Anche l’Elevato (il Mazzarò di Bibbona, il bracciante di Giovanni Verga che dice “è tutto mio”) venne qui a fare lo spettatore. Era un anno fa. Si parlava di energia e a quel tempo (memorie) Conte si faceva così piccino che quasi si abbassava per parlargli: “Cosa posso fare per te, caro Beppe”. La location è giusta. È la casa del “vogliamoci bene, i conti li facciamo dopo”. Massimo D’Alema era convinto che Matteo Renzi fosse un “royal baby” e gli regalò la maglia di Totti. Silvio Berlusconi si era fatto fotografare con le mani incrociate con gli s-federati Meloni e Salvini perché “per me, venire al Tempio di Adriano, è sempre una simpatica tradizione”. A Salvini asciugò perfino il sudore con uno dei suoi fazzoletti. Il tempio di Adriano ha preso il posto del teatro Capranica che era solitamente “ci serve un posto in fretta” e vicino alla Camera. Ma quello era spartano, di “sinistra”. Conte ormai è da stati generali. Ha perso così tanto tempo (è questo che gli rimproverano i parlamentari M5s) che entra in questo tempio già da imperatore attempato.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio